Veglia di Pentecoste
Duomo di Pavia – sabato 22 maggio 2021
Carissimi fratelli e sorelle,
I giorni tra l’Ascensione del Signore e la domenica di Pentecoste sono un tempo di attesa e invocazione dello Spirito, che, in certo modo, ci fa rivivere l’esperienza della prima comunità di Gerusalemme. Infatti, accogliendo l’invito del Risorto a restare insieme in città per «attendere l’adempimento della promessa del Padre» (At 1,4), i discepoli hanno vissuto quei giorni in preghiera, nella fiduciosa attesa di essere battezzati nello Spirito Santo. Così Luca ci mostra il quadro della prima Chiesa come comunità orante: «Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo. Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (At 1,13-14).
La veglia che stiamo celebrando, come celebrazione liturgica della vigila, è come immedesimarci nell’esperienza degli apostoli uniti ad alcune donne, con Maria al centro, e con i “fratelli” di Gesù, i membri della sua famiglia che erano diventati credenti nel Signore.
Qui, carissimi amici, fedeli della Chiesa di Pavia e membri delle associazioni e dei movimenti ecclesiali che arricchiscono la nostra comunità diocesana, troviamo un’indicazione preziosa, per il tempo che stiamo vivendo. Infatti la solennità di Pentecoste, che per noi pavesi coincide con la vigilia della festa delle Sante Spine, cade quest’anno in un momento particolare della vita sociale ed ecclesiale: stiamo uscendo, progressivamente, dalla lunga pandemia, che oltre ad aver provocato lutti e sofferenze nelle famiglie, ha creato nuove povertà, non solo economiche, ma anche psicologiche e spirituali, e ha segnato l’esistenza quotidiana delle famiglie, degli anziani, dei ragazzi e dei giovani. Solo nei prossimi mesi, potremo misurare la consistenza e la profondità delle ferite impresse nel corpo vivo di molte persone, e certamente ci attende un cammino non semplice per riprendere pienamente la vita sociale, economica, culturale, religiosa, non accontentandoci di ritornare alla “normalità” di prima – che ha mostrato tratti critici e deboli, impietosamente messi in luce dall’emergenza sanitaria – ma cercando di fare tesoro dell’esperienza complessa di questo anno e mezzo, segnata anche da elementi positivi e di valore, come forme di condivisione dei bisogni di chi rischia di restare indietro, nuove prospettive e modelli di un’economia più sostenibile e rispettosa dell’uomo e dell’ambiente, necessità di un ripensamento profondo del modo di vivere il quotidiano, troppo frenetico e sempre alla ricerca di nuove emozioni.
Come Chiesa che è in Italia, siamo alla vigilia dell’assemblea generale della CEI, nella quale noi vescovi cercheremo di mettere a fuoco l’immagine del cammino sinodale della Chiesa italiana, sollecitato con forza da Papa Francesco, come aiuto a vivere la nostra missione di cristiani e di comunità credente, nell’oggi e a realizzare con più decisione la conversione pastorale in senso missionario, che il Papa ci ha proposto fin dall’inizio del suo pontificato, con l’esortazione Evangelii gaudium consegnata alle nostre chiese nell’intervento del Santo Padre al convegno nazionale della Chiesa italiana, nel novembre 2015 a Firenze.
Noi già abbiamo dedicato l’anno pastorale 2017-2018 a una ripresa di alcune prospettive dell’Evangelii gaudium e delle “cinque vie di Firenze”: c’è stato allora un primo lavoro di confronto e di riflessione nei vicariati, nelle parrocchie, nelle associazioni e movimenti, che ha portato a una sintesi finale, da me riconsegnata alla Diocesi nel giugno 2018, con linee di lavoro.
Il cammino sinodale, che non sappiamo ancora come si realizzerà, dovrà comunque coinvolgere le chiese locali, come ama dire il Papa «dal basso», e vedremo le indicazioni che scaturiranno dalla prossima assemblea dei vescovi italiani, per muoverci in sintonia con il Papa e la Chiesa in Italia.
Ora, carissimi fratelli e sorelle, l’immagine della comunità apostolica in preghiera ci suggerisce qualcosa di fondamentale: prima di ogni nostra riflessione e organizzazione, prima di ogni nostro agire e tentare anche vie nuove per essere Chiesa in questo passaggio così gravido di futuro, occorre metterci in atteggiamento di umile e intensa preghiera, invocare dallo Spirito la luce, l’intelligenza e la sapienza, non dimenticare mai che il Signore è il primo e vero protagonista della nostra vita e del cammino delle nostre comunità. Permettete che rilegga con voi alcuni tratti di una bellissima omelia dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, «Come nasce e rinasce la Chiesa», pronunciata nella piccola chiesetta di Pentling il 31 maggio 1987, nella quale si commenta proprio il passo di Atti citato, un’omelia da me ripresa nella lettera pastorale per l’anno 2017-18 Essere Chiesa oggi: «Il Signore era andato via. Non aveva lasciato detto nulla di chiaro, tranne la promessa che sarebbe venuto lo Spirito Santo … Avrebbero forse potuto dire: “Però non accade nulla”, oppure: “Sediamoci attorno al tavolo, discutiamo su come si possa fare la Chiesa … Ma non succede né una cosa né l’altra. Vanno nella sala nella quale Gesù si è donato a loro, lì si riuniscono per divenire insieme una cosa sola e per implorare il dono di Dio, lo Spirito Santo … Applicato a noi, questo significa che dobbiamo imparare nuovamente che non possiamo fare tutto da noi; che dobbiamo imparare di nuovo a credere che davvero il Signore c’è e che davvero agisce in questo modo. All’inizio della Chiesa c’è sempre un atto di fede. E se manca questo, se non abbiamo questo coraggio di credere in lui e nella sua forza viva nel mondo, tutto il resto non basta. (…) È importante che non ci sia solo la nostra Chiesa, ma la sua Chiesa. Solo la sua Chiesa, quella che non abbiamo fatto noi, che proviene da lui e che è più di quello che possiamo immaginare e inventare, solo quella è in grado di portarci. Abbiamo bisogno dell’umiltà e della fede per aprirci ad essa» (Le omelie di Pentling, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015, 23-24).
Certo, carissimi amici, anche la prima comunità ha poi dovuto fare delle scelte, come l’istituzione dei sette diaconi per il servizio alle mense, ha dovuto operare un discernimento decisivo, nel cosiddetto “concilio di Gerusalemme” e anche l’apostolo Paolo, nella sua attività di evangelizzatore, ha sviluppato una sorta di “strategia” pastorale, ha assunto modalità di predicazione differenti nei diversi ambienti. Ma questo processo, che poi ha sempre accompagnato il cammino storico della Chiesa, si è svolto in un clima di preghiera, di apertura allo Spirito, di obbedienza all’unica signoria di Cristo, perché la Chiesa rimane la sua Chiesa, egli è vivo, presente e operante, e ci chiama a collaborare con lui, non a sostituirci a lui!
Tutte le volte che gli uomini di Chiesa hanno riposto la fiducia nei loro progetti e programmi o negli appoggi dei potenti, e si sono adeguati al mondo, la Chiesa non ha trasmesso più la gioia e la bellezza della fede, più preoccupata dei numeri che dei cuori e delle anime. Purtroppo non mancano anche oggi modi di concepire e di immaginare la vita ecclesiale, che rispondono più a logiche mondane che evangeliche e che rischiano di creare tensioni e rotture anche gravi.
Perciò, carissimi fratelli e sorelle, siamo chiamati a essere collaboratori del Signore, impegnando intelligenza e libertà e mettendo a frutto i doni che lo Spirito diffonde. A voi, cari amici che appartenete a differenti associazioni, movimenti e nuove comunità, affido una consegna questa sera: sentitevi responsabili di arricchire la nostra Chiesa con i vostri carismi e siate disponibili anche ad animare la vita quotidiana delle nostre parrocchie, mettendo a disposizione ciò che siete, dando il vostro apporto nella catechesi dei piccoli e delle famiglie, nell’accompagnamento dei genitori che chiedono il battesimo per i loro bimbi – che grande occasione missionaria! – nella presenza nella vita degli oratori, perché siano davvero luoghi d’incontro e d’educazione alla fede, nella vicinanza agli anziani e ai malati.
Ecco, in questo cammino che c’interpella e ci attende, nel percorso sinodale che ci sarà proposto, diamo, tutti, il nostro contributo: mettiamoci in docile ascolto dello Spirito, attingiamo nella preghiera e nell’adorazione la vera forza che viene da Risorto, non da noi e che sola è capace di portare la Chiesa e noi tutti, per una rinnovata testimonianza di Cristo agli uomini e alle donne con cui condividiamo la comune avventura umana. Amen!