Carissimi amici,
Su proposta e iniziativa del Servizio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro e della Scuola di cittadinanza e partecipazione, ci raccogliamo per celebrare l’Eucaristia e vivere un momento d’incontro e di riflessione, in vicinanza al Santo Natale. Nessuno, l’anno scorso, avrebbe mai immaginato le condizioni in cui ci troviamo quest’anno a vivere la festa di Gesù che nasce: abbiamo alle spalle mesi difficili e sofferti, non solo per l’emergenza sanitaria, che purtroppo continua a mietere vittime e a segnare la vita di tante famiglie, ma anche per la grave situazione che si va configurando sul piano sociale, psicologico e spirituale. Quante persone hanno perso il lavoro o rischiano di perderlo nei prossimi mesi, quante attività e imprese hanno l’acqua alla gola, quanta povertà che erode sempre più il ceto medio nel nostro paese!
Si avverte poi nell’aria un clima pesante: la gente è logorata, sfiduciata, anche confusa e talvolta arrabbiata di fronte a scelte di governo sempre cangianti e incerte, che danno l’impressione di una mancanza di un progetto e di un semplice seguire gli eventi.
In questo orizzonte nebuloso, come credenti che operano nell’ambito sociale, lavorativo, amministrativo e politico, siamo chiamati a stare dentro il dramma di questa crisi dalle molte facce, a essere una presenza propositiva e creativa, promuovendo buone alleanze tra soggetti e realtà che non vogliono subire gli avvenimenti, né tanto meno, pensare solo ai propri “interessi e affari”, e che invece vogliono riconoscere e valorizzare le risorse umane di bene, d’impegno, di passione che, grazie a Dio, non mancano anche qui a Pavia, come in tutta Italia.
La crisi, lo sappiamo, è un tempo di giudizio, dove si rivela l’assetto umano della comunità civile e cristiana, è un crinale, che chiede di essere vigilanti e attenti: certamente, come spesso ci ricorda Papa Francesco, da una crisi non si esce uguali, o si esce migliori o peggiori, o si fa un passo in avanti o si fanno passi indietro. Dipende da tutti noi accettare la sfida di questa circostanza imponente e imprevedibile, che ha travolto il mondo, per ridisegnare modi e scelte di vita, a livello personale e spirituale, sociale ed economico, culturale e politico, che ci aiutino a correggere distorsioni gravi, presenti nel modello di vita dominante e che producono ingiustizie, povertà, sfruttamento dissennato dell’ambiente, per favorire la crescita di una società caratterizzata da vera fraternità, dall’attenzione a chi è più fragile, dallo sviluppo di un’economia che unisca insieme la promozione del benessere e della ricchezza, con la distribuzione equa del reddito e con il rispetto della “casa comune”, creata per noi da Dio, della vita umana, dal suo concepimento alla sua fine naturale.
La liturgia di oggi – siamo ormai nei giorni che immediatamente ci preparano al Natale – pone davanti ai nostri occhi la figura di San Giuseppe, lo sposo di Maria, chiamato ad accogliere e a custodire il mistero immenso che si sta compiendo nella giovane vergine di Nazaret: il concepimento in lei di un bambino che proviene da Dio, nel grembo reso fecondo dalla potenza dello Spirito. Così l’angelo, nel sogno, annuncia e rivela a Giuseppe, intimorito, perplesso, incerto su da farsi: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù» (Mt 1,20-21).
Giuseppe è l’uomo giusto, che obbedisce prontamente a Dio, prende con sé Maria la sua sposa e da quel momento diventa il custode fedele e amoroso della Vergine Madre e del Figlio, concepito in lei dallo Spirito Santo: nei testi evangelici, il Santo Patriarca non appare mai da solo, è sempre accanto a Maria e a Gesù, nei momenti drammatici e lieti, nella nascita di Gesù, nella fuga in Egitto e nel ritorno a Nazaret, dove sotto la cura di Giuseppe la piccola famiglia trascorre una vita semplice, fatta di affetti, di lavoro, di preghiera, di feste condivise nel villaggio di Galilea, o vissute nel pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme. San Giuseppe è davvero figura dell’uomo fedele a Dio, che sa custodire i beni affidati a lui dal Padre, la sua sposa e il piccolo Gesù che cresce sotto i suoi occhi. Per questa paternità forte che sa custodire e difendere, San Giuseppe è stato proclamato 150 anni fa Patrono della Chiesa universale e in questo anniversario Papa Francesco ha scritto una lettera apostolica, Patris corde, dedicata alla figura di San Giuseppe: un testo che v’invito a leggere e a meditare, in questi giorni, che racchiude riflessioni che possono illuminare la nostra vita di credenti, la nostra attività nel lavoro, le responsabilità che abbiamo nella società, nella famiglia, nella comunità cristiana.
Guardando alla testimonianza discreta ed essenziale di San Giuseppe, così come traspare nei testi evangelici molto sobri su di lui, possiamo imparare a diventare anche noi uomini e donne che sanno essere custodi fedeli nell’esistenza e nella storia. In particolare, vorrei accennare a tre aspetti di questa missione di custodia affidata a ciascuno e a ciascuna di noi, nel nostro stato di vita, nella professione e compito che svolgiamo, nella responsabilità che abbiamo.
Innanzitutto essere custodi della speranza: è la virtù che ci permette di vedere ciò che non è ancora, già nascosto nel presente. Come il contadino, che nel piccolo germoglio, vede già il frutto, e non è un caso che il profeta Geremìa, nella prima lettura, parla del futuro messia usando l’immagine del germoglio: «Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra» (Ger 23,5). Se abbiamo occhi aperti, possiamo cogliere i germogli di bene che stanno crescendo anche in questi mesi carichi di sofferenza e di preoccupazioni: li vediamo nella dedizione di medici e infermieri, nella disponibilità a prestare aiuto da parte di persone e di realtà di volontariato, li vediamo negli imprenditori e nei datori di lavoro che non gettano la spugna e percorrono nuove strade, nei rappresentanti delle banche e delle fondazioni che aiutano attività e famiglie e che sentono una missione di cura e di sostegno come parte della loro funzione, li vediamo nei giovani che studiano, progettano, inventano, e rischiano nella realtà, senza attendere dall’alto la risposta ai loro bisogni.
Poi essere custodi dei fratelli e delle sorelle: è il grande messaggio che Papa Francesco ha consegnato al mondo e alla Chiesa, nella sua ultima lettera enciclica Fratelli tutti. Riconoscere che siamo tutti fratelli e sorelle, perché partecipi della stessa umanità e della stessa dignità di persone, figli di un Padre che ci ha chiamati alla vita, significa prenderci a cuore il bene gli uni degli altri, non sentire nessuno estraneo e indifferente al nostro cammino, saperci chinare su chi soffre, su chi giace sulla strada, mezzo morto, come ha fatto il samaritano della celebre parabola. In fondo, si tratta di ascoltare davvero la domanda di Dio rivolta a Caino: «Allora il Signore disse a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello?”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?”» (Gen 4,9). Sì, carissimi amici, siamo custodi del nostro fratello, soprattutto quando è debole, è invisibile, è lasciato ai margini! Siamo custodi gli uni degli altri, e quanto più crescerà la capacità di custodire l’altro e di averne cura, tanto più potremo dare forma a una società diversa, più umana!
Infine, essere custodi del mistero: è il mistero racchiuso in ogni vita, perché ogni volto umano porta in sé un mistero, qualcosa che ci supera e non possiamo ridurre a un nostro possesso, è il mistero santo di Dio, sorgente di ogni creatura, che ha impresso la sua immagine nell’uomo e nella donna, è il mistero di Cristo, il Dio con noi, che rimane presente e vivo nella nostra storia, tanto da identificarsi con i suoi discepoli e con tutti i fratelli più piccoli – l’affamato, l’assetato, lo straniero, l’ignudo, il malato, il carcerato -. Potremmo aggiungere: il bambino non nato, sfruttato, abusato, la donna violentata e umiliata, ridotta a oggetto di piacere, l’anziano solo e dimenticato, l’uomo che vive gli ultimi giorni della sua esistenza terrena.
Che San Giuseppe, in questo Anno giubilare indetto dal Papa, c’insegni a vivere con lui la grande missione di essere custodi, soprattutto oggi: custodi della speranza, che rianima il cuore, custodi dei fratelli, custodi del mistero, mistero di Dio, di Cristo e dell’uomo! Amen