Carissimi religiosi e religiose, e voi tutti membri della vita consacrata,
Carissimi fratelli e sorelle,
La festa della Presentazione di Gesù al tempio è chiamata nell’Oriente cristiano “festa dell’incontro”: nel momento in cui i due giovani sposi, Maria e Giuseppe, salgono al tempio di Gerusalemme con il piccolo Gesù, un bimbo di quaranta giorni, per presentarlo a Dio, quale primogenito, in obbedienza alla Legge del Signore, si compie un incontro con due anziani. Prima il vecchio Simeone, «uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele» (Lc 2,25), e poi Anna, un’anziana profetessa che viveva nel tempio, «servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere» (Lc 2,37), e anche lei condivideva l’attesa della redenzione di Gerusalemme.
In questo evento, la Chiesa vede prefigurato l’incontro del Messia con il suo popolo, il popolo dei credenti in lui: Gesù viene nell’umiltà della nostra carne per farsi incontrare da noi, uomini e donne, rappresentati da Simeone e Anna, per essere luce e vita nella nostra esistenza, segnata e ferita dal peccato, dalla sofferenza e dalla morte.
L’autore della lettera agli Ebrei, nella prima lettura, ci ha ricordato questa stupenda e commovente realtà, riconoscendo nel mistero dell’incarnazione e della piena condivisione della nostra umanità mortale, il segno della prossimità di Dio in Cristo: «Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura» (Eb 2,16). È il redentore che nella sua Pasqua ci libera dalla paura della morte, una paura che ci fa schiavi, è il sommo sacerdote, misericordioso e degno di fede, che ha offerto se stesso per espiare i peccati del popolo, del suo popolo!
In certo modo, nell’offerta del piccolo Gesù a Dio, realizzata nel tempio da Maria e Giuseppe, è già annunciata l’offerta totale che Cristo vivrà sulla croce e alla quale Maria, la madre, avrà parte, secondo le parole profetiche di Simeone: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35).
Proprio in questa festa celebriamo da 25 anni la Giornata della vita consacrata, istituita da San Giovanni Paolo II dopo la pubblicazione della sua esortazione apostolica Vita consecrata (25 marzo 1996), frutto del Sinodo dei vescovi sulla vita religiosa, tenuto nel 1994. Da allora il panorama multiforme della presenza dei religiosi e delle religiose nella Chiesa e nel mondo ha conosciuto forti cambiamenti, con segni di fatica e d’invecchiamento soprattutto nelle famiglie tradizionali di vita attiva, con il triste fenomeno di abbandoni e crisi, e insieme con segni di novità e di speranza: è in atto, sotto la sollecitazione di Papa Francesco e della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, una rilettura del significato e della concreta vita delle comunità religiose, perché vivano il proprio carisma nel contesto attuale, radicalmente trasformato o in rapidissima evoluzione; sono nate nuove comunità e anche oggi ci sono storie di vocazioni dove si tocca con mano l’azione dello Spirito, talvolta per vie tortuose; sta crescendo, nelle antiche chiese d’Europa, la presenza di congregazioni religiose nate in paesi dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina, che vengono a vivere e dare la loro testimonianza tra noi, anche nella nostra diocesi; c’è poi la crescita di comunità formate da religiose o religiosi di differente nazionalità, che possono essere un segno di fraternità nel nostro tempo, con le loro fatiche e con la sfida di tenere insieme volti diversi in un’esperienza di vera comunione nel Signore.
Ecco, carissimi fratelli e sorelle nel Signore, la vostra esistenza trova davvero una grande luce nel mistero della Presentazione, una luce di speranza che mostra la bellezza della vostra chiamata, pur dentro le difficoltà dell’oggi: al cuore della storia di ciascuno e di ciascuna di voi, c’è l’incontro con il Signore che nello Spirito ha mosso e toccato il cuore e vi ha attratto a sé, c’è l’offerta libera e lieta della vostra esistenza, giorno dopo giorno, unita a quella di Cristo, ci sono lo stupore e la gioia di Simeone e Anna che cantano la fedeltà di Dio e il suo amore inesauribile per gli uomini e le donne di ogni luogo e di ogni tempo, anche di questo tempo, apparentemente così refrattario e chiuso alla voce del Padre, almeno nel mondo occidentale.
Carissimi consacrati e consacrate, la vostra peculiare vocazione a seguire Cristo, povero, casto e obbediente, con una vita totalmente offerta a Dio e al suo regno, rappresenta un dono grande per la Chiesa, per la nostra Chiesa di Pavia, e desideriamo farvi sentire la nostra gratitudine e vicinanza, in un passaggio faticoso che stiamo condividendo con le nostre comunità e con la società intera: la pandemia in atto ha purtroppo causato la morte di tante persone, sottratte alle loro famiglie, e di molte religiose e religiosi, soprattutto anziani, che hanno dedicato la loro esistenza al Signore e alla Chiesa, anche nei vostri istituti, e tutto ciò obbliga a scelte talvolta dolorose di chiusura e riduzione di opere, e accelera un processo di ripensamento già avviato in questi anni.
Sono convinto che anche questa “crisi” possa avere una sua paradossale fecondità, se la sappiamo accogliere e attraversare insieme, ascoltando che cosa Dio chiede a tutti noi, a voi consacrati e consacrate, a noi pastori, vescovi e sacerdoti, alle nostre comunità e diocesi.
Questa sera, vorrei cogliere solo una parola che può illuminare il nostro cammino, dal cantico di Simeone. Egli celebra il messia bambino come la salvezza che Dio ha preparato davanti a tutti i popoli: «Luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,32). C’è questa nota di universalità, l’apertura a tutte le genti, a partire da Israele.
Ebbene, uno dei segni che caratterizzano la vita religiosa, da sempre, è proprio l’universalità: ogni vostra famiglia è nata in un luogo e in circostanze storiche ben determinate, tuttavia fin dall’inizio ogni autentico carisma è aperto al mondo e alla Chiesa tutta, tanto che la storia dei vostri istituti e comunità è una storia di diffusione e di missione. Ora, una caratteristica del nostro presente, già accennata, è la crescita nelle nostre diocesi, di comunità religiose nate altrove, con la presenza di persone consacrate di altra nazionalità, che vengono a dimorare tra noi, insieme allo sviluppo di comunità formate da religiosi e religiose di differenti paesi d’origine.
Occorre guardare, accogliere e accompagnare queste presenze che sono un dono e una ricchezza! Occorre fare un cammino non di semplice “integrazione” – termine equivoco, che in fondo sembra chiedere solo uno sforzo di adattamento a chi viene da lontano – ma di comunione, dove voi, cari consacrati e consacrate, che provenite da nazioni e da culture diverse dalla nostra, siete chiamati a imparare la lingua, a prendere contatto con mentalità e culture nuove, a conoscere i modi di vivere, le tradizioni e le forme pastorali nelle nostre diocesi e parrocchie, e noi, Chiesa di Pavia, dobbiamo imparare da voi, lasciarci fecondare dal vostro modo di vivere la fede e la pastorale, dallo stile, a volte più diretto e semplice, di entrare in relazione con persone e situazioni, disponibili a mettere in discussione certe nostre prassi consolidate, a fare davvero un cammino insieme, dove accade uno scambio di doni, dobbiamo valorizzare la vostra presenza nella pastorale con i fratelli immigrati, che spesso provengono dalle vostre nazioni o da paesi a voi vicini.
Così, saremo sempre più una Chiesa “dalle genti” e per le genti, capace di vivere la bellezza di un incontro e di una fraternità che non annulla le differenze, ma le fa crescere e lievitare e diventa così un segno in questo mondo pieno di barriere e di distinzioni!
Questa certamente è una delle parole che Dio ci sta rivolgendo, attraverso la concreta realtà della vita religiosa, qui e ora, nella nostra Chiesa di Pavia, ed è una parola che chiede a tutti, a me vescovo, ai nostri sacerdoti e diaconi permanenti, al popolo di Dio e a voi, cari religiosi e religiose, conversione, duttilità, stima reciproca e disponibilità a rivedere stili e modi d’essere e di vivere.
Ne va del presente e del futuro di noi e delle nostre comunità, non solo dei vostri istituti, e per questo chiediamo allo Spirito che ha mosso il cuore giovane di Simeone e Anna, di muovere i nostri cuori, di vincere resistenze e sclerosi, pesantezze e incrostazioni, d’essere liberi e lieti per il Regno di Dio. Amen!