Santa Messa di fine anno
Duomo di Pavia – giovedì 31 dicembre 2020
Carissimi fratelli e sorelle,
La Chiesa vive il passaggio da un anno a un altro nella luce del grande mistero del Natale: infatti con la Messa di questa sera, caratterizzata dal canto di ringraziamento e di lode del Te Deum, noi entriamo nell’ultimo giorno dell’Ottava Natalizia, solennità di Maria Santissima Madre di Dio.
È una festa che ci fa guardare a Maria, come la vergine madre nella quale si è compiuto l’evento dell’Incarnazione del Figlio di Dio: in lei e da lei l’Eterno Figlio del Padre, «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero» ha assunto la nostra umanità, divenendo figlio dell’uomo, e così noi possiamo venerare Maria come madre di Dio, madre del Dio fatto uomo.
Che mistero e che meraviglia! Una donna ha generato come uomo l’Eterno Verbo del Padre, il suo Figlio unigenito, che ha voluto essere uno di noi, tanto che possiamo rivolgerci a Maria con le parole del sommo poeta Dante: «vergine madre, figlia del figlio».
San Paolo, nel breve passo della lettera ai Gàlati, appena proclamato, esprime la fede delle origini, la fede di sempre che da duemila anni la Chiesa testimonia e confessa: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5).
«Il suo Figlio, nato da donna»: il pensiero e il cuore, se per un istante, pesano queste parole e sostano su di esse, si smarriscono, sono sopraffatti da una realtà che ci supera e ci colma di stupore. Il Figlio di Dio, consustanziale al Padre, della stessa natura del Padre, è nato da donna, che si chiama Maria di Nazaret, umile figlia d’Israele, di un sconosciuto villaggio della Galilea, divenuta madre di Dio, madre di Cristo, madre nostra nella grazia.
Carissimi amici, stiamo per concludere un anno segnato da fatiche e sofferenze, legate alla situazione sanitaria e sociale, nel quale molte famiglie sono state visitate dal dolore del lutto o dalla trepidazione per un familiare ammalato e spesso isolato, e ci aspettano mesi non facili, anche per le difficoltà legate al lavoro e all’economia, per la crescente povertà che colpisce tanti fratelli e sorelle. Eppure, noi stasera vogliamo rendere grazie, esprimere a Dio una preghiera di lode e ringraziamento, e allo stesso tempo affidare alla sua provvidenza d’amore l’anno che si aprirà tra poche ore. Ci potrebbe essere la tentazione di considerare il 2020 un “annus horribilis” da dimenticare e da archiviare, e di guardare solo in avanti, combattuti tra speranze e paure, tra l’attesa, talvolta esagerata e sopravalutata del sospirato vaccino, e le incertezze di ciò che ci attende.
Ecco, noi questa sera, innanzitutto vogliamo guardare i giorni vissuti e quelli che si prospettano nella certezza che scaturisce da Cristo, dalla sua presenza fedele e dal dono immenso che il Figlio di Dio porta alla nostra umanità fragile e confusa. È il dono che ci ha ricordato San Paolo e che è al centro del mistero natalizio: il Figlio di Dio è nato da donna, si è fatto uomo, è diventato una presenza umana nella nostra storia, piena di contraddizioni e di sofferenze, di speranze e di luci, per renderci figli di Dio, «perché ricevessimo l’adozione a figli».
Sì, carissimi fratelli e sorelle, in Cristo noi ci scopriamo figli, noi siamo accolti e adottati come figli di Dio, raggiunti e custoditi da un amore impensato e immeritato. L’ha ricordato con parole bellissime Papa Francesco nella notte di Natale: «Il Figlio di Dio, il benedetto per natura, viene a farci figli benedetti per grazia. Sì, Dio viene al mondo come figlio per renderci figli di Dio. Che dono stupendo! Oggi Dio ci meraviglia e dice a ciascuno di noi: “Tu sei una meraviglia”».
La presenza di Gesù, che rivela e incarna il volto del Padre e ci fa sentire la gioia di essere figli benedetti e amati, continua a farsi vicina a noi, anche nelle ore oscure della vita, attraverso presenze umane di bene. Ringraziamo il Signore per tutto il bene suscitato da lui, nel cuore di uomini e donne di buona volontà, credenti e non credenti, che in questi mesi, in questi giorni sono il segno concreto e visibile della tenerezza di Dio per i suoi figli, soprattutto quando attraversano la fatica, la sofferenza, la morte. Sono volti belli di volontari, pur nascosti dalle mascherine, ma con gli occhi che parlano e sorridono – giovani, adulti e anziani – di medici, infermieri e operatori della sanità, di persone comuni, che continuano a fare il loro dovere con cura e fedeltà, e si rendono disponibili a condividere bisogni di chi hanno vicino, con gesti semplici: una telefonata, un saluto, un servizio come fare la spesa, una visita a chi è solo. Tutti possiamo essere segno del Padre buono e fedele!
L’apostolo aggiunge un’altra dimensione del nostro essere figli nel Figlio: «E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”» (Gal 4,6). Siamo figli di Dio perché in noi abita lo Spirito di Cristo, nel battesimo e nella cresima abbiamo ricevuto lo Spirito del Figlio ed è lo Spirito Santo che in noi prega e grida: “Abbà! Padre!”. L’invocazione con cui Gesù, nella sua lingua materna, l’aramaico, si rivolgeva a Dio, “Abbà”, è una parola familiare che esprime intimità e confidenza, come quella che un figlio, un bambino ha con suo padre, e che mai era stata usata da labbra umane per rivolgersi a Dio: ebbene noi ora possiamo rivolgerci a Dio come il nostro “Abbà”, come padre amoroso che mai ci abbandona. Nel vangelo di Marco la stessa parola è sulla bocca di Gesù, nella sua drammatica preghiera nell’orto degli ulivi: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).
Così, carissimi, possiamo vivere la prova di questo tempo, invocando il Padre, l’Abbà di Gesù e nostro, con la certezza che la volontà del Padre è il nostro bene, che lui sa volgere a un bene più grande anche le sofferenze e le prove della vita. Con la fiducia e l’audacia dei figli – pensate quando un bambino chiede qualcosa ai suoi genitori, con che fiducia e che insistenza! – chiediamo al Padre: «Tutto è possibile a te, Tu hai nelle mani la nostra storia e la nostra esistenza! Tu vegli sui nostri giorni, allontana da noi questo calice, l’epidemia che ci sta provando, allontana da noi ogni male. Noi però ci fidiamo di te: non abbandonarci e accompagnaci in ogni ora, sostienici nelle valli oscure che dobbiamo attraversare».
Per superare la crisi che stiamo attraversando, sono importanti i mezzi umani della medicina, è essenziale l’impegno di tutti per non lasciare indietro i più fragili e i più deboli, ma ricordiamoci che c’è una provvidenza di Dio che guida le vicende della storia e impariamo a essere più umili, a riconoscerci figli bisognosi dell’aiuto del Padre: troppe volte, nel nostro mondo, abbiamo messo da parte di Dio, viviamo come se lui non esistesse e raccogliamo poi gli amari frutti di una vita senza Dio, senza la coscienza del Padre e del nostro essere figli.
C’è, infine, un’ultima parola preziosa che San Paolo ci rivolge: «Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio» (Gal 4,7). Questo è stato il grande annuncio che ha conquistato il mondo antico, nei primi secoli del cristianesimo: proprio perché siamo figli nel Figlio, non siamo più schiavi! Schiavi di altri, di rapporti soffocanti, possessivi e violenti, schiavi delle paure, soprattutto della morte: nel mondo antico, l’uomo viveva di mille paure, legate al culto di divinità capricciose e volubili, alla credenza nell’influsso dei vari spiriti, al senso oppressivo del fato, del destino necessario e ineluttabile. E purtroppo oggi, anche nel mondo cosiddetto sviluppato e moderno, tornano forme irrazionali di paura, e in tante culture e civiltà sopravvivono paure e pratiche magiche, che purtroppo condizionano tragicamente la vita.
Scoprirci figli, ritrovare il nostro volto più vero in Gesù è essere liberati dalla paura, che paralizza il cuore e che logora l’esistenza, come abbiamo sperimentato in questi mesi: carissimi amici, siamo figli e perciò siamo eredi per grazia, eredi di Dio. La nostra eredità è Dio, è la vita piena ed eterna con lui, che già ora iniziamo a pregustare: è un’eredità viva che ci attende, oltre il limite della morte. Questa è la nostra speranza, questa è la nostra fiducia: allora sì, possiamo rendere grazie al Padre, per il dono di ogni giorno, come passo verso l’eternità, per il dono di presenze umane in cui traspare la tenerezza di Gesù per noi, per il dono del suo amore che ci accompagna fedelmente. Amen!