Omelia per la S. Messa In Coena Domini
Duomo di Pavia – giovedì 1° aprile 2021
Carissimi fratelli e sorelle,
Il Triduo Pasquale, culmine della Settimana Santa e dell’intero anno liturgico, si apre con la Messa In Coena Domini, “Nella Cena del Signore”, nella quale riviviamo l’ora della cena di Gesù con i suoi discepoli: in quella sala, nel cenacolo, i gesti e le parole di Cristo sono per noi, consegnano ai Dodici e attraverso di loro ai credenti di ogni generazione i doni essenziali che ci fanno essere Chiesa, comunità e famiglia degli amici di Cristo. Nelle tre letture proclamate ricorre l’espressione «per voi» che indica i destinatari del mistero compiuto quella sera, che sempre si compie sull’altare.
Il libro dell’Esodo, dopo aver descritto il rito dell’agnello, consumato nelle case degli Israeliti, esprime un dono e un comando: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14).
San Paolo, nella testimonianza più antica circa l’istituzione dell’Eucaristia, con un linguaggio che riflette già la prassi liturgica nelle prime comunità, riprende le parole di Gesù sul pane e sul vino: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me»; «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1Cor 11,24.25).
Giovanni, dopo aver narrato, quasi al posto dell’istituzione dell’Eucaristia, il gesto scandaloso e forte della lavanda dei piedi, ci mostra Gesù che affida una consegna ai suoi: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,12-15).
Quante volte, nei testi biblici di stasera, ritorna l’espressione «per voi», che coinvolge tutte le generazioni che verranno, dagli ebrei dell’Esodo ai figli del popolo ebraico oggi viventi, dai Dodici a noi, cristiani del XXI secolo! Il memoriale della prima Pasqua d’Israele è anche per noi e rivive ora nei gesti eucaristici del Signore; il corpo e il sangue di Cristo, nel segno del pane spezzato e del vino condiviso nello stesso calice, sono per noi, corpo dato e sangue versato sulla croce; il gesto di Gesù che, chinandosi, lava i piedi ai discepoli è per noi, è un esempio e un comandamento consegnato a noi, perché noi lo viviamo, lo mettiamo in pratica e possiamo essere così beati: «Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica» (Gv 13,17).
Ecco, fratelli e sorelle, tutto ciò che accade nelle ore dell’ultima cena, della passione e della morte di Gesù, è per noi, è segno di un amore smisurato da parte di Cristo per i suoi, un amore estremo, che giunge al dono pieno di sé: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Innanzitutto, così come siamo, questa sera guardiamo ai gesti di un tale amore, lasciamoci toccare dalla dedizione infinita di Gesù e stupire dall’amore di Cristo, come ci ha ricordato Papa Francesco nell’omelia della scorsa domenica delle Palme, perché una fede senza stupore, senza un cuore commosso dalla tenerezza di Gesù, è arida, non vibra di vita e di passione, diventa formale: «Chiediamo la grazia dello stupore. La vita cristiana, senza stupore, diventa grigiore. Come si può testimoniare la gioia di aver incontrato Gesù, se non ci lasciamo stupire ogni giorno dal suo amore sorprendente, che ci perdona e ci fa ricominciare? Se la fede perde lo stupore diventa sorda: non sente più la meraviglia della Grazia, non sente più il gusto del Pane di vita e della Parola, non percepisce più la bellezza dei fratelli e il dono del creato».
Prima di fare noi qualcosa, guardiamo e accogliamo ciò che ha fatto Gesù per noi, e riconosciamoci amati, salvati, perdonati, abbracciati da un amore che va oltre ogni misura e ogni immagine umana: è l’amore di Cristo che ci precede e che entrando nella nostra vita, comunica e partecipa un movimento di grazia, di misericordia, di carità, come dono commosso di noi stessi a Dio e ai fratelli, con gesti quotidiani, semplici e concreti, con un cuore che si apre e che si lascia ferire e commuovere dalle sofferenze e dai bisogni di chi incontriamo, di fratelli e sorelle, vicini e lontani.
Accogliamo la duplice consegna che Gesù ci lascia, nella notte dell’ultima cena, una consegna che è allo stesso tempo un dono e un comandamento. Infatti, quella sera, Cristo ha affidato ai suoi il memoriale vivo della sua Pasqua, che egli stava per vivere, nel dramma della sua morte e risurrezione, chiedendo che fosse ripetuto, rinnovato: «Fate questo in memoria di me». Sono le parole che ascoltiamo, sulla bocca del sacerdote, in ogni messa, nel momento solenne e semplice della consacrazione del pane e del vino, che si trasformano veramente e realmente nel Corpo e Sangue del Signore, cosicché in ogni Eucaristia, si compie ciò che Paolo proclama: «Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1Cor 11,26).
Fin dall’inizio, la prima comunità di Gerusalemme si è raccolta per la frazione del pane, per celebrare l’Eucaristia, per annunciare nei segni sacramentali la morte del Signore, la morte di colui che, risorgendo, si è manifestato come il Signore, vivente e presente tra i suoi. Oggi, come allora!
Davvero la Chiesa è nata con l’Eucaristia e dall’Eucaristia, siamo chiamati, carissimi amici, a riconoscere il dono immenso di questo sacramento, nel quale Cristo si fa presente con tutto se stesso, con la sua vita di Risorto, e si dona a noi come nutrimento: «Prendete e mangiate … Prendete e bevete …». Così obbedire alla consegna di Gesù, «Fate questo in memoria di me», è prima di tutto accogliere un dono che viene da lui e che non siamo noi a creare, né tanto meno ad adattare ai gusti e alle idee dei tempi, è celebrare con fede, con stupore e gratitudine il gesto eucaristico, è comunicare degnamente e umilmente al Corpo e al Sangue di Cristo nei segni sacramentali del pane e del vino.
Allo stesso tempo, quella sera, come narra il vangelo di Giovanni, durante la cena, Gesù ha compiuto un altro gesto, che ha un valore quasi sacramentale, perché la lavanda dei piedi, nelle parole con cui Cristo spiega ai discepoli il senso della sua azione, è il sacramento del servizio, dell’amore umile che si china sui fratelli, come ha fatto Gesù per lavare i piedi ai Dodici, compreso Giuda il traditore. Ci ha dato un esempio, che non è semplicemente un modello da imitare, è molto di più: è un dono che tende a trasformare la nostra vita, sulle orme di Cristo, il Maestro e il Signore che si è fatto servo, fino alla fine.
La ricchezza delle parole e dei gesti di Gesù esprime il senso profondo dell’Eucaristia, che non è soltanto un rito, ma è la forma di Cristo che la nostra esistenza è chiamata ad assumere, imparando a lavarci i piedi gli uni gli altri, vivendo il comandamento nuovo dell’amore fraterno.
In questo tempo che per tante famiglie è segnato da preoccupazioni e incertezze sul lavoro e sul futuro, e in cui crescono solitudine e logoramento nei cuori dei più fragili, dagli anziani impauriti agli adolescenti e ai bambini in disagio, apriamo gli occhi e il cuore, rendiamoci attenti e disponibili a condividere la vita dei fratelli, con gesti concreti di vicinanza, di servizio, di aiuto, impiegando risorse e tempo, nello stare accanto a chi fa più fatica.
«Fate questo in memoria di me» allora è inseparabile dall’altro comandamento di Cristo «Anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri»: solo così viviamo il dono dell’Eucaristia, e permettiamo al Signore di trasfigurare la nostra vita secondo il suo amore, «fino alla fine». Amen!