Cari sacerdoti e cari religiosi dell’Ordine dei Fatebenefratelli,
Distinte autorità civili e militari,
Carissimi fratelli e sorelle nel Signore,
Quando due anni fa, abbiamo aperto l’anno giubilare in onore di San Riccardo, per onorare la memoria del trentesimo anniversario della sua canonizzazione (1° novembre 1989) e il novantesimo anniversario del suo transito al cielo (1° maggio 1930), non avremmo mai immaginato di vivere, dai primi mesi del 2020, l’esperienza della pandemia, che ha colpito il mondo intero e ci ha condotti a prolungare di un anno le celebrazioni giubilari, nella speranza che nella primavera di questo anno avremmo potuto riprendere a vivere i pellegrinaggi già organizzati da varie parti della Lombardia. Purtroppo non siamo ancora usciti dalla situazione di emergenza sanitaria e anche se s’intravedono segni di speranza e di ripartenza, sappiamo che ci attende ancora un lungo cammino, per recuperare la piena normalità e libertà nella vita sociale, e all’orizzonte si profilano tempi non facili per il lavoro e l’attività economica nel nostro paese.
Potrebbe sembrare quasi una “beffa” del destino: avevamo iniziato con gioia e desiderio la celebrazione dell’anno giubilare e in tanti, a gruppi, come famiglie, come singoli, nei mesi del 2019 e all’inizio del 2020 erano venuti in pellegrinaggio da San Riccardo, affidando a lui intenzioni e sofferenze, ed esprimendo una devozione semplice e vera a un santo che avvertiamo così familiare. Poi tutto si è interrotto, abbiamo vissuto i mesi del lock down duro e solo a tratti, con la ripresa delle celebrazioni liturgiche con i fedeli, non solo voi parrocchiani di Trivolzio e delle comunità vicine, ma anche i pellegrini “alla spicciolata”, senza pellegrinaggi organizzati, hanno ripreso a venire, in modo discreto e silenzioso.
In realtà, le circostanze faticose e per alcuni drammatiche – chi si è ammalato in modo grave, a volte giungendo alle soglie della morte, chi è rimasto vittima di questo nemico insidioso e invisibile, chi ha trepidato per la salute di un suo caro o di una persona amica, chi ha visto ridursi in modo consistente le sue attività, chi addirittura si è ritrovato senza occupazione o costretto a reinventarsi un lavoro, chi ha dovuto ricorrere all’aiuto e al sostegno di altri – sono state per molti un’occasione per guardare a San Riccardo con occhi nuovi: perché, carissimi amici, quando facciamo i conti con la nostra umana fragilità, quando tocchiamo con mano che non siamo noi i padroni della vita, nonostante tutta l’arrogante sicurezza dell’uomo contemporaneo che crede di poter dominare e controllare tutto con la scienza e i prodigi di una tecnologia sempre più sofisticata, si aprono sostanzialmente due possibilità.
Possiamo accusare in un primo tempo il “colpo”, sentire in modo bruciante il limite che ci fa uomini, creature mortali, magari anche provare fastidio, quasi rabbia perché le cose non vanno come vorremmo, sopportare e poi affrettarci a tornare, appena sarà possibile, con l’aiuto, in sé benedetto, della medicina e dei vaccini, a riprendere la vita di prima, come se fosse stata solo una brutta parentesi da dimenticare. Nell’impeto buono del momento siamo stati anche capaci di gesti di solidarietà e di servizio, ma senza che avvenisse nulla a livello del cuore, dell’assetto profondo con cui stiamo di fronte a noi stessi, agli altri, alla realtà: il modus vivendi, prima del Covid, era generalmente consumare tempo, esperienze, emozioni, a volte affetti e rapporti, tutti tesi al benessere, alla sicurezza economica, ai “riti laici” delle vacanze e dei viaggi, in un’esistenza senza respiro, senza l’orizzonte dell’eterno, dove Dio, se c’è, non centra, dove Cristo rischia di essere un nome, una presenza estranea alla vita. «Nulla sarà più come prima»: questo slogan stucchevolmente ripetuto, come altri, sarà smentito, se in questi mesi, non siamo stati veramente disponibili a lasciarci provocare dall’imprevisto accaduto e da Colui che ci chiama, ci richiama, anche attraverso una circostanza drammatica e inimmaginabile – almeno nel nostro mondo “sviluppato”!
C’è, infatti, una seconda possibilità, testimoniata proprio dalla vicenda umana del dottor Erminio Pampuri, divenuto San Riccardo, religioso dell’ordine Fatebenefratelli: quando si ripercorre la vita del nostro “dottorino” santo, nelle sue tappe, sotto un certo aspetto molto dimesse e ordinarie, restiamo colpiti da un fatto imponente. Fin da giovane, educato nella fede del popolo cristiano di questa nostra terra, Erminio ha vissuto intensamente il rapporto con la realtà, con le circostanze, anche faticose – nella sua storia familiare, nell’ambiente ostile alla fede dell’università di Pavia, medico in guerra – e segnate dalla sofferenza dei suoi malati e delle povere famiglie delle cascine di Morimondo, o dalla domanda bruciante sulla sua vocazione, su che cosa Dio volesse da lui.
La realtà gli parlava, era segno del mistero, era luogo in cui San Riccardo si sentiva chiamato a seguire la presenza di Cristo vivo, a servire Cristo nella carne e nell’anima dei suoi malati, e la percezione, che traspare in molte lettere, della sua umana fragilità, diventava per lui grido e domanda a Dio, umile e tenace mendicanza a Cristo, cercato nell’Eucaristia, adorata e ricevuta, affidamento alla Chiesa, attraverso la sua appartenenza alla comunità cristiana, nelle parrocchie dove è vissuto, a Trivolzio, Torrino e Morimondo, nell’Azione Cattolica, nella Fuci, nel Terzo Ordine Francescano di Santa Maria di Canepanova a Pavia, attraverso la relazione epistolare con la sorella suor Longina e la frequentazione di sacerdoti ai quali chiedeva consiglio e luce, infine attraverso l’adesione all’ordine dei Fatebenefratelli, negli ultimi tre anni di vita.
Così Erminio è diventato San Riccardo, un testimone semplice da guardare, che ci può accompagnare, per imparare da lui un altro modo di affrontare la vita, ogni circostanza, anche quella che stiamo attraversando da mesi: essere disponibili alla realtà, a dare spazio alla percezione e al riconoscimento di una Presenza più grande di noi, da cui dipendiamo e verso cui siamo in cammino, una Presenza che non ci spiega il mistero del dolore, ma lo condivide fino ad assumerlo nella sua croce, che non elimina magicamente la morte, ma la trasforma in un passaggio alla pienezza della vita e alla risurrezione. Questa, amici carissimi, è l’alternativa che, in modo drammatico, è posta alla libertà di ciascuno di noi: restare alla superficie dell’essere, soffocando nel limite, con un’umanità che si spegne e intristisce, magari sopportando le fatiche del quotidiano, ma tutti protesi alla speranza di tornare a vivere come prima, oppure spalancare il cuore al mistero di Dio, come orizzonte del desiderio umano, e alla presenza di Gesù, compagnia fedele del Padre all’uomo, trasformando il limite in un’apertura, nel respiro della preghiera, e stando attaccati a presenze umane, a luoghi e a gesti che rendono familiare Cristo dentro la vita.
Ecco, carissimi fratelli e sorelle: uno di questi luoghi che ci rende più semplice il rapporto con il Signore è proprio qui, a Trivolzio, in questa chiesa, presso le spoglie di San Riccardo. Per questo motivo, come frutto dell’anno giubilare, ho deciso di erigere la chiesa parrocchiale dei Santi Cornelio e Cipriano in Trivolzio a santuario diocesano di San Riccardo Pampuri, come segno di riconoscimento della grazia che con abbondanza Dio elargisce in questo luogo benedetto, per intercessione di questo suo umile figlio.
Un tratto che ha sempre sorpreso chi ha avuto il dono d’incontrare Erminio Pampuri, giovane studente, medico premuroso, umile religioso dell’ordine di San Giovanni di Dio, è la sua letizia, anche nell’ultima malattia, anche sul letto di morte: lieto non perché ingenuo o sognatore, lieto perché certo di una Presenza buona, nel cuore della vita e di ogni realtà.
Questa è la grazia che possiamo chiedere allo Spirito, attraverso l’intercessione di San Riccardo, della Madonna, da lui tanto amata, all’inizio del mese dedicato a lei, e di San Giuseppe, nell’anno consacrato a lui: che nel nostro cuore, fiorisca il miracolo di una letizia capace di attraversare ogni umana circostanza e che diventi la prima testimonianza che possiamo offrire ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, in questo tempo. Lieti perché Cristo vive e San Riccardo è per tutti noi un segno di questa presenza fedele, più potente della morte e del male. Amen!