Festa dei popoli – Santa Maria del Carmine – Pavia
Carissimi fratelli e sorelle,
Chères frères et sœurs,
Dear brothers and sisters,
Queridos hermanos y hermanas,
Siamo qui raccolti in questa bella celebrazione nella quale risuonano voci e canti in più lingue, nella grande solennità di Pentecoste, che da diversi anni, coincide con la “Festa dei Popoli” nella nostra diocesi: sono qui presenti fedeli di varie nazioni, che dimorano tra noi, uniti nella professione della stessa fede in Cristo e nell’appartenenza alla Santa Chiesa cattolica, Chiesa universale che conosce al suo interno la ricchezza di espressioni e di tradizioni liturgiche differenti. Qui a Pavia esiste una consistente comunità greco-cattolica ucraina, assistita da Don Alessandro Tovt, c’è una multiforme comunità latino-americana e ci sono presenze di altre nazionalità dall’Africa e dall’Asia; vi sono poi anche comunità appartenenti a chiese ortodosse dell’Oriente, e altre confessioni cristiane.
Ringrazio tutti voi di aver accolto l’invito a questo appuntamento di preghiera e di festa: l’anno scorso non è stato possibile ritrovarci ed è bello raccoglierci di nuovo, insieme, in questo tempo di progressiva ripresa della vita sociale, dopo la lunga prova della pandemia, dalla quale non siamo ancora totalmente usciti, e che purtroppo, in alcune delle vostre nazioni di provenienza, sta ancora mietendo vittime e limitando fortemente le normali attività. Vogliamo affidare al Signore e alla sua Santissima Madre tutti i malati e i sofferenti, in particolare le vostre famiglie che in patria stanno vivendo ancora disagi e fatiche, e le persone a voi care che sono venute a mancare.
Ringrazio anche coloro che hanno preparato la nostra celebrazione, in particolare chi anima il Servizio diocesano per la pastorale dei migranti: Don Robert Funda-Funda, Don Nicolas Sacchi, coadiuvati da alcune sorelle consacrate e da fedeli laici che appartengono alle vostre comunità linguistiche e religiose. Davvero un grazie di cuore a tutti!
La solennità odierna, che porta a compimento il mistero pasquale, celebra l’evento raccontato all’inizio del libro degli Atti: la discesa dello Spirito Santo, promesso da Cristo, sui discepoli raccolti intorno a Maria, madre del Signore, e la nascita della Chiesa, che si manifesta ai pellegrini giunti a Gerusalemme per la festa ebraica di Pentecoste.
Lo Spirito Santo non è semplicemente una forza che investe i discepoli e infonde il coraggio di uscire dal cenacolo e di proclamare le grandi opere di Dio, è una persona divina, come il Padre e il Figlio, che viene ad abitare nei cuori dei credenti, per essere l’anima e la vita profonda della loro esistenza e della comunità cristiana. Nel Vangelo di oggi, Gesù ne annuncia la venuta e ne parla in termini personali: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me … Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità» (Gv 15,26; 16,13).
Tutto ciò non è un passato, da commemorare, è un mistero di grazia in cui siamo immersi, perché anche su di noi si effonde lo Spirito, nel Battesimo e nella Cresima, in ogni celebrazione sacramentale, nella preghiera che si fa invocazione a lui e apertura alla sua azione silenziosa e reale. Ora, lo Spirito è inafferrabile, come il vento impetuoso o come le lingue di fuoco, tuttavia ne possiamo riconoscere gli effetti, perché fa rifiorire e rigenera la vita, rinnova il volto dell’uomo e della terra, come afferma il salmo: «Togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra» (Sal 103,29-30).
Il primo effetto dello Spirito all’opera è il miracolo di una nuova unità, che supera ogni divisione e ogni estraneità, e sa comporre la ricchezza multiforme delle differenze in una comunione più profonda, così come accade nella scena della Pentecoste negli Atti: i discepoli, colmati di Spirito Santo, cominciano a parlare in altre lingue e sono le lingue native e materne dei popoli rappresentati dai numerosi pellegrini a Gerusalemme. L’elenco che Luca riporta idealmente abbraccia un mondo, purtroppo segnato da contrasti e lotte, ieri come oggi, un mondo unito nella confessione della stessa fede: è come se a Pentecoste la Chiesa nascesse da subito come Chiesa dei popoli, Chiesa aperta alle nazioni più diverse, alla varietà delle lingue, una comunità animata dallo stesso Spirito e dalla fede in Cristo risorto e vivente.
Ecco, fratelli e sorelle, pur con i nostri umani limiti e le nostre povertà, noi oggi attestiamo il dono di essere una Chiesa dalle mille lingue e dai mille volti, dove ogni popolo può trovare casa e dove ognuno di noi porta l’originalità della propria storia e cultura, delle proprie espressioni e tradizioni di fede, ed è bello dare questa testimonianza come comunità cristiana qui a Pavia, nella nostra Diocesi. Certo siamo in cammino e siamo chiamati a crescere e a vivere sempre di più il dono della fraternità in Cristo, come segno di speranza per tutti: noi, cristiani originari di questa terra, siamo chiamati ad aprire il cuore al dono della vostra presenza, alla freschezza della vostra fede e voi, cari amici, ospiti e dimoranti tra noi, siete chiamati a custodire la vostra identità come un’identità aperta, che sa farsi dono e inserirsi nel tessuto delle nostre comunità, arricchendole.
L’altro grande segno della presenza dello Spirito in noi è l’accadere di una nuova umanità, descritta da San Paolo nel passo della lettera ai Gàlati, che abbiamo ascoltato. L’apostolo contrappone due modi di vivere: «Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne» (Gal 5,16-17).
La carne indica non soltanto l’ambito della sessualità disordinata, ma un modo di vita centrato su se stessi, teso solo al possesso di cose, beni, affetti e persone, all’appagamento del proprio “io” e le «opere della carne» toccano tre ambiti fondamentali dell’esistenza: l’ambito dell’impurità e della ricerca smodata del piacere («fornicazione, impurità, dissolutezza … ubriachezze, orge e cose del genere»), l’ambito del rapporto alterato con Dio, sostituito con il culto degli idoli, antichi e nuovi, e con il ricorso a pratiche magiche e superstiziose, ben presenti anche oggi («idolatria, stregonerie») e l’ambito dei rapporti umani e della carità fraterna, ferita dagli egoismi e dalle meschinità del cuore («inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie»). Un conto è la fragilità del cuore, che ci fa cadere nel peccato, un conto è impostare la vita secondo questo modo di essere: alla fine la vita è resa vuota, tutto si consuma, tutto passa, e uno rimane solo con il suo egoismo, incapace di amare e di essere amato.
Camminare secondo lo Spirito è assecondare un modo nuovo, più bello e più gratuito, di vivere, lasciarsi condurre e plasmare dalla potenza di un amore che ci precede: è l’amore di Cristo che ci coinvolge e ci cambia con la grazia dello Spirito, che dimora in noi. Spettacolare è il volto umano che traspare nelle parole di San Paolo: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). Non è un sogno, non è un’utopia affidata alle nostre forze e ai nostri progetti: è un’umanità più bella, più pura, più lieta che nella docile collaborazione con lo Spirito, può prendere forma in noi, come nei santi, uomini e donne in cui si vede lo Spirito all’opera.
I primi cristiani, immersi in un mondo pieno di corruzione e di violenza, hanno reso testimonianza a Cristo, proprio mostrando un’umanità diversa, nel modo di vivere la sessualità e la vita matrimoniale e familiare, nel modo di vivere i rapporti fraterni nella carità e nel perdono, nel modo di riconoscere il Dio vivo e vero, il Padre del Signore Gesù. A questa testimonianza siamo chiamati anche oggi, dentro le circostanze quotidiane e concrete dell’esistenza: perciò abbiamo bisogno d’invocare ogni giorno lo Spirito, come c’invita a fare la liturgia di oggi, per essere davvero testimoni di una vita trasformata dalla fede in Cristo che ci rende fratelli e sorelle, amici e non più estranei, qualunque sia la nostra lingua e cultura. Questo è il nostro contributo che possiamo dare come cristiani al nostro tempo, al rinnovamento di una socialità più umana e più ricca: «Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra». Amen!