Natale del Signore – Santa Messa della Notte Duomo di Pavia – giovedì 24 dicembre 2020

24-12-2020

Natale del Signore – Santa Messa della Notte

Duomo di Pavia – giovedì 24 dicembre 2020

 Carissimi fratelli e sorelle,

La notte in cui è nato Gesù a Betlemme è stata illuminata da una luce e da una parola di annuncio che riecheggia nella liturgia e nel Vangelo di questa “Messa nella notte”, anticipata quest’anno per le note ragioni legate alla situazione sanitaria.

La luce è quella che ha avvolto alcuni pastori che vegliavano nei campi fuori di Betlemme, facendo la guardia al loro gregge: «Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,9). La luce nella Scrittura è spesso segno della gloria di Dio, del suo splendore che irradia e che illumina, che squarcia le tenebre e vince il buio: è la prima opera nella creazione, la separazione della luce dalle tenebre del caos primordiale. La luce che avvolge i pastori, pieni di timore e di stupore, splenderà di nuovo sul volto trasfigurato di Gesù, sul monte, davanti a tre discepoli, anch’essi colti da paura e meraviglia, e soprattutto la luce nella notte di Betlemme preannuncia la luce del Risorto, nel buio del sepolcro, la luce della Vita che vince la morte!

Ecco, fratelli e sorelle, tutti noi siamo fatti per la luce e non per le tenebre: fin da bambini abbiamo paura del buio e dell’ignoto, amiamo vedere la realtà e i volti. Certo ci sono spettacoli e paesaggi notturni di grande fascino e incanto, tuttavia amiamo essere illuminati e riscaldati dal sole: quando le giornate si fanno sempre più brevi, in autunno, e cala presto il buio, ce ne accorgiamo. Quest’anno rimangono in noi immagini oscure e tristi, come le colonne di camion, nelle sere della scorsa primavera, che da Bergamo portavano via le bare con i tanti, troppi morti causati dall’epidemia, o le vie vuote delle nostre città.

Nel mondo antico, c’erano feste che celebravano l’avanzare della luce, come la festa romana del Sol Invictus, del “sole invincibile”. Istituita nei primi secoli in cui stava nascendo anche il cristianesimo, voleva celebrare, in corrispondenza al solstizio d’inverno, la rinascita della luce che, almeno nel nostro emisfero, va crescendo lentamente, sottraendo spazio al buio.

Il Natale è proprio la festa della vera luce, che viene nel mondo, del sole che non tramonta, e questa luce non è un simbolo, né tanto meno un mito, è una presenza nella nostra storia e nella nostra carne – un bambino deposto in una mangiatoia, avvolto nelle fasce, che si chiama Gesù -, una presenza che continua a trasparire come luce di bene e di verità nel volto e nell’esistenza di uomini e donne che vivono di Lui e diventano così testimoni per tutti noi.

L’angelo, infatti, come messaggero di Dio, consegna ai pastori un annuncio di gioia e di speranza, indicando il bambino appena nato: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11). Luce e gioia vanno insieme, e la grande luce che ha investito i pastori è segno della grande gioia annunciata a loro e a noi: è nato per noi, un Salvatore, uno che è in grado di salvarci, che è Cristo, il messia atteso da secoli, Signore. Tale si rivelerà attraverso i gesti e le parole della sua breve missione in mezzo agli uomini, soprattutto nel mistero della sua Pasqua: è nella croce e nella risurrezione, che Gesù manifesta il suo essere messia, servo fedele e obbediente al Padre, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, e nello stesso tempo il suo essere Signore, in senso pieno, Signore della vita, capace d’infrangere il muro, per noi invalicabile, della morte.

Carissimi amici, l’annuncio di un Salvatore, anzi del Salvatore, trova una nuova risonanza in noi, nell’orizzonte del tempo che stiamo vivendo, perché in questo anno 2020 ci siamo riscoperti fragili e vulnerabili, nel dramma della malattia che purtroppo continua a portare sofferenza nelle persone e nelle famiglie, e abbiamo percepito, in modo nuovo, che abbiamo bisogno di essere salvati: non ci salviamo da soli.

Ovviamente c’è una “salvezza” che in parte è a portata delle nostre capacità: quanti malati sono stati guariti, salvati dalla morte, grazie ai progressi della medicina, grazie all’impegno e alla dedizione dei nostri operatori sanitari! Siamo in attesa del “vaccino” che, insieme allo sviluppo di nuove terapie, potrà contenere nei prossimi mesi l’epidemia e aiutarci lentamente a riprendere una vita più “normale”. Stanno davanti a noi le grandi sfide e difficoltà legate alla situazione sociale ed economica, alla crescente povertà, alla perdita di posti di lavoro: anche in questo campo, se sapremo operare insieme, unendo risorse e idee, se avremo un’attenzione privilegiata ai più fragili e ai più deboli, se ci riconosceremo, davvero “fratelli tutti” in umanità, tutti sulla stessa barca, potremo affrontare con creatività e passione il cammino non facile che ci attende. In questo senso, «nessuno si salva da solo», come ama ripetere Papa Francesco, e tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri, e tutti possiamo dare un contributo, secondo le possibilità e le responsabilità di ciascuno.

Ma è questa la “salvezza” che cerchiamo? A misura del nostro cuore, della nostra sete di vita e di gioia? Come ci mostra la storia, le epidemie passano, la medicina progredisce, s’intravede una via d’uscita da questo tunnel in cui siamo entrati da mesi, e possiamo pensare e sperare che, con scelte intelligenti nell’uso delle risorse, da parte di chi ci governa, con l’impegno di tanti uomini e donne di buona volontà, dotati di genio e di competenze, con la disponibilità di molti a condividere i bisogni e a sostenere chi è più in difficoltà, potremo attraversare questa crisi, cercando di fare tesoro dell’esperienza vissuta, per non tornare semplicemente alla vita di prima.

Tuttavia, continueremo a incontrare in certi passaggi dell’esistenza il dolore e la malattia, sentendo in noi la grande domanda sul significato dell’umano soffrire, continueremo ad avvertire uno struggente desiderio di pienezza e di vita, contraddetto e ferito dal limite della morte, soprattutto quando perdiamo una persona cara, continueremo a fare esperienza del nostro male, del nostro peccato, che ci rende a volte miseri e meschini, interiormente pieni di vergogna e di tristezza, nonostante le mille giustificazioni che possiamo trovare, continueremo a vedere ingiustizie e “inequità” (Papa Francesco) nel mondo, povertà e sofferenze che sono uno scandalo insopportabile nonostante l’impegno e la passione che possiamo e dobbiamo vivere per edificare un modo più umano e più giusto di abitare la nostra terra.

Ecco perché resta aperta nel cuore dell’uomo, onesto con se stesso e pieno di desideri grandi, una domanda di salvezza, l’attesa, magari inconsapevole, di qualcuno che possa veramente salvarci.

Carissimi fratelli e sorelle, la luce in questa Notte Santa sorge come annuncio di un Salvatore che è tra noi: Cristo Signore, fragile bimbo nella mangiatoia di Betlemme, giovane uomo di Nazaret, che con parole e gesti di bene e di misericordia, ci ha mostrato il Padre, ha reso vicino a noi il Dio vivente e ci offre la vera salvezza, che non è abolizione magica del dolore e della morte, né l’utopia realizzata di un mondo perfetto. La salvezza è una presenza buona e fedele – Cristo, Emmanuele, Dio con noi – che condivide fino in fondo il dramma di essere uomini e che nel buio estremo della morte mostra la luce della risurrezione e della vita eterna. La salvezza è la possibilità di accettare la sofferenza, di viverla nella compagnia di Cristo e di trasformarla in un’offerta d’amore, feconda di grazia. La salvezza è una presenza di misericordia che ci accoglie, ci perdona, ci ricrea e ci permette sempre di rialzarci e di ripartire!

Anche nel 2020, siamo e restiamo creature bisognose di essere salvate, perciò per noi è apparsa la luce ed è risuonata la parola, questa notte nei campi di Betlemme: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11). Amen!