“Tutta la nostra Diocesi è vicina, con la preghiera e con le opere, a chi ha perso il lavoro e a chi non ha più un reddito sufficiente a mantenere la propria famiglia”. E’ una delle riflessioni proposte dal vescovo Giovanni Giudici nel suo messaggio alla città ed alla comunità diocesana, in occasione della Festa delle Sacre Spine. Sul nostro sito proponiamo alcuni passaggi significativi del discorso di mons. Giudici.
(…) In questa celebrazione ci vogliamo ricordare delle persone che soffrono, ma, in particolare, di coloro che stanno subendo in maniera importante gli effetti della attuale crisi economica. Si tratta di coloro che:
– hanno perso il lavoro;
– si sono trovati costretti a liquidare le proprie imprese;
– dispongono di un reddito insufficiente per sostenere le spese necessarie per una dignitosa sopravvivenza.
Queste persone rappresentano una delle spine che oggi siamo chiamati a staccare dalla corona che sta sul capo del Cristo crocefisso. A queste persone e alle loro famiglie tutta la Diocesi pavese è vicina con la preghiera e le opere, perché la loro sofferenza è rappresentata per noi dalla passione del Signore. Sappiamo che vi sono esempi di opere realizzate in loro favore, anche per l’attivarsi dell’opinione pubblica, e che vi sono esempi di una straordinaria ricchezza umana, spirituale e sociale dai quali ripartire in questo momento di difficoltà. Alle persone di buona volontà che stanno sostenendo tali opere individualmente, in gruppi, movimenti, associazioni, comunità e istituzioni va un grazie sentito.
Ritornano tuttavia le riflessioni espresse in simili ricorrenze sulle difficoltà e i problemi che affliggono la nostra comunità. Si è infatti esteso il territorio del disagio e della sofferenza.Chi fino ad ora era riuscito, in qualche modo, a navigare nel mare burrascoso generato dalla crisi economica, rischia oggi di esserne sopraffatto a causa della sua ormai lunga durata. Chi cercava, nonostante tutto, di nutrire la speranza di riuscire a superare le difficoltà intervenute e si attendeva un futuro più sereno, per sé e per i propri figli, fatica a tenere vivo questo senso di fiducia e guarda davanti a sé con sempre maggior preoccupazione. Coloro i quali dovrebbero, naturalmente e fisiologicamente, fare progetti di vita, di crescita professionale e personale – cioè i nostri giovani – sono bloccati tra un presente difficile e un futuro sempre più incerto. Tutto questo in una cornice di persistente instabilità economica e di confusione politica che rende ogni giorno più difficile intravedere segnali positivi di cambiamento almeno nel futuro più prossimo.
Un senso di timore e di precarietà, rispetto ai più ricorrenti rischi dell’esistenza (la perdita del lavoro, la malattia, l’età anziana, la fragilità dei legami familiari) è sentito non soltanto da chi, per ragioni di età, di nazionalità o per condizione sociale si è da sempre trovato a dover fronteggiare questi rischi e a vivere situazioni di marginalizzazione o di esclusione. E’ oggi molto più presente anche fra coloro i quali, fino a non molto tempo fa, si credevano al riparo da questi rischi o meglio preparati ad affrontarli. Non occorre andare lontano con lo sguardo o con l’immaginazione. E’ sufficiente guardare attorno a noi, alle famiglie che ci vivono accanto e con cui entriamo quotidianamente in relazione per comprendere come sia radicalmente cambiato il volto della povertà, quanto siano diffuse le situazioni di difficoltà intervenute in famiglie che sempre più ci assomigliano.
La crisi economica e i mutamenti sociali colpiscono oggi in maniera più trasversale e indiscriminata individui e famiglie che appartengono a differenti gruppi e ceti sociali ed è più difficile pensare di poter attribuire le conseguenze di questi accadimenti alla sola responsabilità dei singoli. Con ogni evidenza, vi sono fattori che sono totalmente o in larga misura al di fuori del controllo dell’individuo, che riguardano circostanze non prevedibili né governabili dal singolo, ma le cui conseguenze finiscono però per riversarsi interamente sull’individuo stesso.
Quest’esposizione al rischio, sempre più diffusa e persistente, può alimentare un tipo di reazione di segno negativo: è una spinta a rinchiudersi, a isolarsi, ad allontanarsi dalla società, vivendo da soli le difficoltà del momento, se queste ci hanno colpito direttamente; oppure nella ricerca di vie per preservare e difendere la propria condizione, sperando che in tal modo queste difficoltà ci saranno risparmiate. In un caso e nell’altro, questo tipo di reazione non può essere di aiuto, né a noi stessi né agli altri. Produce solitudine e isolamento che rischiano di sfociare in azioni e gesti drammatici, come troppo spesso i fatti di cronaca ci mostrano; oppure genera indifferenza, alimenta pregiudizi, inaridisce le nostre vite e impoverisce le nostre coscienze. Non è nella solitudine o nell’egoismo che possiamo risolvere o metterci dal riparo dai problemi che la vita ci presenta.
La sofferenza del Signore, significata dalle Spine della Passione, che questa sera onoriamo e non solo ritualmente, ci introduce in una reazione di segno positivo: Gesù ha portato su di sé la sofferenza del mondo, si è fatto vicino a coloro che sono schiacciati dall’egoismo. Egli ci invita dunque ad entrare, come Egli ha fatto, in un processo di identificazione e di empatia: se quel collega ha perso il lavoro potrebbe accadere anche a me, se quel ragazzo fatica a trovare la propria strada anche nostro figlio potrebbe trovarsi ad affrontare le stesse difficoltà, la solitudine di quell’anziano oggi potrebbe essere la mia domani. Questa reazione, sana e positiva sotto il profilo personale, sociale, nasce in noi credenti dalla considerazione della Passione del Signore, sofferta “per noi e per la nostra salvezza”.
Ed è questo cambiamento spirituale che mette in moto e alimenta i meccanismi di solidarietà – di tipo individuale o collettivo – nei confronti dei soggetti più deboli ma, in ultima istanza, anche di noi stessi, nella consapevolezza che tutti noi siamo, o possiamo essere, soggetti deboli. Che emerga spontaneamente dall’identificazione nell’altro, che derivi da legami di fratellanza o che sia indotta nel tentativo di scongiurare i rischi dell’isolamento, la solidarietà è la sola risposta possibile che in questo momento possiamo dare.
Quali speranze e quali azioni ci sono richieste? La solidarietà rappresenta uno dei quattro principi fondamentali su cui si regge l’intera Dottrina Sociale della Chiesa, accanto alla dignità della persona umana, al bene comune e alla sussidiarietà. (…)
La solidarietà è dunque, e in primo luogo, un principio etico-morale che chiama in causa la responsabilità da parte di ciascuno di farsi carico dell’altro, che chiede il nostro impegno diretto e attivo per la realizzazione del bene comune, che non si regge solo sulla nostra capacità di comprensione ma si fonda su veri e propri principi di giustizia condivisi e universali. E’ la solidarietà che dobbiamo imparare a coltivare e manifestare nei confronti di chi è più prossimo a noi ma anche, e forse ancor più, nei confronti di chi è, rispetto a noi, assai più lontano fisicamente, socialmente, culturalmente o spiritualmente. Una solidarietà che deve essere espressa non in modo episodico o casuale, quando l’affanno delle nostre vite ce lo consente; che non richiede grandi gesta o azioni che possono apparire al di fuori della nostra portata e delle nostre capacità. E’ una solidarietà che si può e si deve esprimere anche attraverso piccoli gesti e piccole attenzioni, che mette a disposizione dell’altro risorse materiali, laddove possibile, senza dimenticare però altre risorse intangibili, sempre più scarse e forse per questo più preziose, come il tempo e l’amore. (…) Dobbiamo allora chiederci come sia possibile oggi, e soprattutto oggi, riaffermare, rafforzare, promuovere ed educare alla solidarietà. Domandarci se sia possibile avviare un sentiero di crescita – economica e umana – che trovi il suo fondamento sul principio di solidarietà. Un percorso che ci aiuti, durante il cammino, a consolidare i legami fra individui e degli individui con il territorio e con la comunità, favorendo l’aiuto reciproco; un viaggio che ci conduca a un positivo traguardo materiale ma attraverso l’attivarsi di un cammino spirituale.
Per avviare questo percorso, dobbiamo cercare di creare condizioni più favorevoli affinché nascano nuove forme di impresa sociale, di imprenditorialità giovane e innovativa, di forme associative tra lavoratori, di organizzazioni non governative, di gruppi di auto-aiuto. Dobbiamo richiedere alle istituzioni che sostengano queste attività attraverso semplificazioni amministrative e burocratiche, esenzioni fiscali, concessioni di credito. Dobbiamo, come cittadini, sostenere e promuovere quelle forme di innovazione sociale – che si realizzano sotto forma di nuovi prodotti, di nuovi servizi e di nuovi mercati – in grado di intercettare e soddisfare i bisogni sociali, di fare un uso migliore e più consapevole delle risorse, soprattutto di quelle ambientali, di facilitare e sviluppare le relazioni tra gli individui.
Come credenti dobbiamo chiedere che vengano sviluppate attività solidali ma non volontaristiche, in grado di generare reddito, di offrire opportunità reali e remunerative e condizioni di lavoro dignitose, che creino valore sul territorio e per il territorio. Certo questo significa pensare e dare strumenti che si sorreggano su un patto generazionale tra lavoratori esperti e giovani che vogliono apprendere; che valorizzino le competenze professionali dei lavoratori e delle lavoratrici, indipendentemente dalla loro appartenenza culturale e religiosa; che tengano conto delle esigenze di conciliazione fra attività lavorativa e responsabilità parentali. Che siano però anche in grado di ricostruire e consolidare quel tessuto sociale che rischia di uscire logoro e lacerato dalle difficoltà di oggi.
I credenti, che si affidano alla preghiera e alla conversione personale, sono ben persuasi che in una fase così complessa sul piano economico e politico, a livello nazionale e internazionale, è illusorio attendersi soluzioni rapide ed efficaci in ordine ai problemi quotidiani che la crisi ha generato e che affliggono le nostre famiglie. Tuttavia la vocazione cristiana, che ci invita ad essere nel mondo persone ‘chiamate’ anche se ‘straniere e pellegrine’, ci spinge a convertirci dal nativo egoismo, alla carità, e quindi ad agire e reagire, attivamente e positivamente, nella direzione di un’economia solidale e di solidarietà, che dia risposta ai problemi concreti, economici e materiali.
Da credenti sappiamo di dover partire da una risposta personale, non meno concreta e urgente: uscire dalla nostra chiusura egoistica sulle nostre sicurezze. Questa è la condizione di natura spirituale e relazionale per la quale i problemi degli altri sono i nostri, e le loro sofferenze ci riguardano. Questo ci ha insegnato Gesù; così ci ricorda Papa Francesco: non dobbiamo perdere né farci rubare la speranza.
Sono queste le domande che animano ora la nostra preghiera; secondo la modulazione caratteristica della liturgia che stiamo celebrando, ringrazieremo anzitutto i Signore con le parole della Vergine Maria. Lo ringraziamo perché ci chiama Lui stesso per vivere della sua misericordia e della sua carità, in una società da amare, da criticare, da trasformare.
Lo pregheremo, seguendo le reliquie della Corona di Spine della Passione di N. Signore Gesù Cristo, per chiedere di divenire noi stessi per primi, uomini e donne capaci di offrire un aiuto a cambiare profondamente la cultura e della mentalità prevalenti. Ed è proprio in questo contesto che per la Chiesa si apre una opportunità importante, quella di consolidare alcuni punti di riferimento della società civile: rispetto della persona, dei suoi diritti fondamentali, dell’eguaglianza e della solidarietà. Bisogna uscire allo scoperto per la difesa dei valori e degli ideali alti; ce lo viene ricordando quasi ogni giorno Papa Francesco. La carità è elemento essenziale, ma non basta. E’ il momento per le persone di buona volontà di collaborare per affrontare la sfida di rendere strutturali i valori cristiani, di farli diventare nuova l’economia, trasformandola in un’economia di eguaglianza; cambiando la politica, facendola diventare una politica di giustizia.E’ il momento della preghiera, per invocare la grazia abbondante del Signore che ci sa rinnovare e salvare.
(…) In questa celebrazione ci vogliamo ricordare delle persone che soffrono, ma, in particolare, di coloro che stanno subendo in maniera importante gli effetti della attuale crisi economica. Si tratta di coloro che:
– hanno perso il lavoro;
– si sono trovati costretti a liquidare le proprie imprese;
– dispongono di un reddito insufficiente per sostenere le spese necessarie per una dignitosa sopravvivenza.
Queste persone rappresentano una delle spine che oggi siamo chiamati a staccare dalla corona che sta sul capo del Cristo crocefisso. A queste persone e alle loro famiglie tutta la Diocesi pavese è vicina con la preghiera e le opere, perché la loro sofferenza è rappresentata per noi dalla passione del Signore. Sappiamo che vi sono esempi di opere realizzate in loro favore, anche per l’attivarsi dell’opinione pubblica, e che vi sono esempi di una straordinaria ricchezza umana, spirituale e sociale dai quali ripartire in questo momento di difficoltà. Alle persone di buona volontà che stanno sostenendo tali opere individualmente, in gruppi, movimenti, associazioni, comunità e istituzioni va un grazie sentito.
Ritornano tuttavia le riflessioni espresse in simili ricorrenze sulle difficoltà e i problemi che affliggono la nostra comunità. Si è infatti esteso il territorio del disagio e della sofferenza.Chi fino ad ora era riuscito, in qualche modo, a navigare nel mare burrascoso generato dalla crisi economica, rischia oggi di esserne sopraffatto a causa della sua ormai lunga durata. Chi cercava, nonostante tutto, di nutrire la speranza di riuscire a superare le difficoltà intervenute e si attendeva un futuro più sereno, per sé e per i propri figli, fatica a tenere vivo questo senso di fiducia e guarda davanti a sé con sempre maggior preoccupazione. Coloro i quali dovrebbero, naturalmente e fisiologicamente, fare progetti di vita, di crescita professionale e personale – cioè i nostri giovani – sono bloccati tra un presente difficile e un futuro sempre più incerto. Tutto questo in una cornice di persistente instabilità economica e di confusione politica che rende ogni giorno più difficile intravedere segnali positivi di cambiamento almeno nel futuro più prossimo.
Un senso di timore e di precarietà, rispetto ai più ricorrenti rischi dell’esistenza (la perdita del lavoro, la malattia, l’età anziana, la fragilità dei legami familiari) è sentito non soltanto da chi, per ragioni di età, di nazionalità o per condizione sociale si è da sempre trovato a dover fronteggiare questi rischi e a vivere situazioni di marginalizzazione o di esclusione. E’ oggi molto più presente anche fra coloro i quali, fino a non molto tempo fa, si credevano al riparo da questi rischi o meglio preparati ad affrontarli. Non occorre andare lontano con lo sguardo o con l’immaginazione. E’ sufficiente guardare attorno a noi, alle famiglie che ci vivono accanto e con cui entriamo quotidianamente in relazione per comprendere come sia radicalmente cambiato il volto della povertà, quanto siano diffuse le situazioni di difficoltà intervenute in famiglie che sempre più ci assomigliano.
La crisi economica e i mutamenti sociali colpiscono oggi in maniera più trasversale e indiscriminata individui e famiglie che appartengono a differenti gruppi e ceti sociali ed è più difficile pensare di poter attribuire le conseguenze di questi accadimenti alla sola responsabilità dei singoli. Con ogni evidenza, vi sono fattori che sono totalmente o in larga misura al di fuori del controllo dell’individuo, che riguardano circostanze non prevedibili né governabili dal singolo, ma le cui conseguenze finiscono però per riversarsi interamente sull’individuo stesso.
Quest’esposizione al rischio, sempre più diffusa e persistente, può alimentare un tipo di reazione di segno negativo: è una spinta a rinchiudersi, a isolarsi, ad allontanarsi dalla società, vivendo da soli le difficoltà del momento, se queste ci hanno colpito direttamente; oppure nella ricerca di vie per preservare e difendere la propria condizione, sperando che in tal modo queste difficoltà ci saranno risparmiate. In un caso e nell’altro, questo tipo di reazione non può essere di aiuto, né a noi stessi né agli altri. Produce solitudine e isolamento che rischiano di sfociare in azioni e gesti drammatici, come troppo spesso i fatti di cronaca ci mostrano; oppure genera indifferenza, alimenta pregiudizi, inaridisce le nostre vite e impoverisce le nostre coscienze. Non è nella solitudine o nell’egoismo che possiamo risolvere o metterci dal riparo dai problemi che la vita ci presenta.
La sofferenza del Signore, significata dalle Spine della Passione, che questa sera onoriamo e non solo ritualmente, ci introduce in una reazione di segno positivo: Gesù ha portato su di sé la sofferenza del mondo, si è fatto vicino a coloro che sono schiacciati dall’egoismo. Egli ci invita dunque ad entrare, come Egli ha fatto, in un processo di identificazione e di empatia: se quel collega ha perso il lavoro potrebbe accadere anche a me, se quel ragazzo fatica a trovare la propria strada anche nostro figlio potrebbe trovarsi ad affrontare le stesse difficoltà, la solitudine di quell’anziano oggi potrebbe essere la mia domani. Questa reazione, sana e positiva sotto il profilo personale, sociale, nasce in noi credenti dalla considerazione della Passione del Signore, sofferta “per noi e per la nostra salvezza”.
Ed è questo cambiamento spirituale che mette in moto e alimenta i meccanismi di solidarietà – di tipo individuale o collettivo – nei confronti dei soggetti più deboli ma, in ultima istanza, anche di noi stessi, nella consapevolezza che tutti noi siamo, o possiamo essere, soggetti deboli. Che emerga spontaneamente dall’identificazione nell’altro, che derivi da legami di fratellanza o che sia indotta nel tentativo di scongiurare i rischi dell’isolamento, la solidarietà è la sola risposta possibile che in questo momento possiamo dare.
Quali speranze e quali azioni ci sono richieste? La solidarietà rappresenta uno dei quattro principi fondamentali su cui si regge l’intera Dottrina Sociale della Chiesa, accanto alla dignità della persona umana, al bene comune e alla sussidiarietà. (…)
La solidarietà è dunque, e in primo luogo, un principio etico-morale che chiama in causa la responsabilità da parte di ciascuno di farsi carico dell’altro, che chiede il nostro impegno diretto e attivo per la realizzazione del bene comune, che non si regge solo sulla nostra capacità di comprensione ma si fonda su veri e propri principi di giustizia condivisi e universali. E’ la solidarietà che dobbiamo imparare a coltivare e manifestare nei confronti di chi è più prossimo a noi ma anche, e forse ancor più, nei confronti di chi è, rispetto a noi, assai più lontano fisicamente, socialmente, culturalmente o spiritualmente. Una solidarietà che deve essere espressa non in modo episodico o casuale, quando l’affanno delle nostre vite ce lo consente; che non richiede grandi gesta o azioni che possono apparire al di fuori della nostra portata e delle nostre capacità. E’ una solidarietà che si può e si deve esprimere anche attraverso piccoli gesti e piccole attenzioni, che mette a disposizione dell’altro risorse materiali, laddove possibile, senza dimenticare però altre risorse intangibili, sempre più scarse e forse per questo più preziose, come il tempo e l’amore. (…) Dobbiamo allora chiederci come sia possibile oggi, e soprattutto oggi, riaffermare, rafforzare, promuovere ed educare alla solidarietà. Domandarci se sia possibile avviare un sentiero di crescita – economica e umana – che trovi il suo fondamento sul principio di solidarietà. Un percorso che ci aiuti, durante il cammino, a consolidare i legami fra individui e degli individui con il territorio e con la comunità, favorendo l’aiuto reciproco; un viaggio che ci conduca a un positivo traguardo materiale ma attraverso l’attivarsi di un cammino spirituale.
Per avviare questo percorso, dobbiamo cercare di creare condizioni più favorevoli affinché nascano nuove forme di impresa sociale, di imprenditorialità giovane e innovativa, di forme associative tra lavoratori, di organizzazioni non governative, di gruppi di auto-aiuto. Dobbiamo richiedere alle istituzioni che sostengano queste attività attraverso semplificazioni amministrative e burocratiche, esenzioni fiscali, concessioni di credito. Dobbiamo, come cittadini, sostenere e promuovere quelle forme di innovazione sociale – che si realizzano sotto forma di nuovi prodotti, di nuovi servizi e di nuovi mercati – in grado di intercettare e soddisfare i bisogni sociali, di fare un uso migliore e più consapevole delle risorse, soprattutto di quelle ambientali, di facilitare e sviluppare le relazioni tra gli individui.
Come credenti dobbiamo chiedere che vengano sviluppate attività solidali ma non volontaristiche, in grado di generare reddito, di offrire opportunità reali e remunerative e condizioni di lavoro dignitose, che creino valore sul territorio e per il territorio. Certo questo significa pensare e dare strumenti che si sorreggano su un patto generazionale tra lavoratori esperti e giovani che vogliono apprendere; che valorizzino le competenze professionali dei lavoratori e delle lavoratrici, indipendentemente dalla loro appartenenza culturale e religiosa; che tengano conto delle esigenze di conciliazione fra attività lavorativa e responsabilità parentali. Che siano però anche in grado di ricostruire e consolidare quel tessuto sociale che rischia di uscire logoro e lacerato dalle difficoltà di oggi.
I credenti, che si affidano alla preghiera e alla conversione personale, sono ben persuasi che in una fase così complessa sul piano economico e politico, a livello nazionale e internazionale, è illusorio attendersi soluzioni rapide ed efficaci in ordine ai problemi quotidiani che la crisi ha generato e che affliggono le nostre famiglie. Tuttavia la vocazione cristiana, che ci invita ad essere nel mondo persone ‘chiamate’ anche se ‘straniere e pellegrine’, ci spinge a convertirci dal nativo egoismo, alla carità, e quindi ad agire e reagire, attivamente e positivamente, nella direzione di un’economia solidale e di solidarietà, che dia risposta ai problemi concreti, economici e materiali.
Da credenti sappiamo di dover partire da una risposta personale, non meno concreta e urgente: uscire dalla nostra chiusura egoistica sulle nostre sicurezze. Questa è la condizione di natura spirituale e relazionale per la quale i problemi degli altri sono i nostri, e le loro sofferenze ci riguardano. Questo ci ha insegnato Gesù; così ci ricorda Papa Francesco: non dobbiamo perdere né farci rubare la speranza.
Sono queste le domande che animano ora la nostra preghiera; secondo la modulazione caratteristica della liturgia che stiamo celebrando, ringrazieremo anzitutto i Signore con le parole della Vergine Maria. Lo ringraziamo perché ci chiama Lui stesso per vivere della sua misericordia e della sua carità, in una società da amare, da criticare, da trasformare.
Lo pregheremo, seguendo le reliquie della Corona di Spine della Passione di N. Signore Gesù Cristo, per chiedere di divenire noi stessi per primi, uomini e donne capaci di offrire un aiuto a cambiare profondamente la cultura e della mentalità prevalenti. Ed è proprio in questo contesto che per la Chiesa si apre una opportunità importante, quella di consolidare alcuni punti di riferimento della società civile: rispetto della persona, dei suoi diritti fondamentali, dell’eguaglianza e della solidarietà. Bisogna uscire allo scoperto per la difesa dei valori e degli ideali alti; ce lo viene ricordando quasi ogni giorno Papa Francesco. La carità è elemento essenziale, ma non basta. E’ il momento per le persone di buona volontà di collaborare per affrontare la sfida di rendere strutturali i valori cristiani, di farli diventare nuova l’economia, trasformandola in un’economia di eguaglianza; cambiando la politica, facendola diventare una politica di giustizia.E’ il momento della preghiera, per invocare la grazia abbondante del Signore che ci sa rinnovare e salvare.
Mons. Giovanni Giudici
(Vescovo di Pavia)