Gentile Direttore,
avendo letto nell’articolo di domenica 25 marzo sul suo quotidiano le affermazioni del presidente dell’ Arcigay di Pavia, Barbara Bassani, che mi attribuisce di aver pronunciato parole d’odio contro le persone con orientamento omosessuale davanti agli studenti delle classi dell’Ipsia “Cremona “ di Pavia, sono tenuto, in coscienza e per rispetto della verità, a offrire alcune precisazioni. L’incontro non è stato richiesto da me, ma proposto dall’Istituto ed era l’ultimo di una serie di incontri tra la scuola e rappresentanti delle diverse istituzioni pavesi: mi era stato chiesto di spiegare, in modo sintetico, l’identità e la missione della Chiesa, come comunità visibile di credenti, nella società e quale sia il compito del Vescovo. Davanti alle classi terze, quarte e quinte, che mi hanno ascoltato con attenzione, dopo avermi accolto con due canti di saluto, ho parlato per circa venti minuti. Dopo ho dato possibilità, come gli altri relatori, di rivolgermi domande, preparate e spontanee. Ne ho ascoltato diverse, anche circa la mia esperienza personale: tra queste, una chiedeva che pensiero avesse la Chiesa sul tema dell’omosessualità e delle persone che hanno e vivono questo orientamento.
Nessuna espressione di “odio transfobico”
La prima cosa che ho sottolineato è che ovviamente si tratta di “persone”, che in quanto tali vanno rispettate, e che ogni persona, sia omosessuale, che eterosessuale, è molto di più del suo orientamento sessuale: ogni persona è mistero e non può essere ridotta a un solo aspetto della sua vita. Non mi sembrano espressione di “odio transfobico”! Poi ho affermato che in una società laica e pluralista, è giusto che lo Stato garantisca i diritti delle persone che vivono un’unione omosessuale, anche con leggi specifiche, e che tuttavia non mi pare corretto equiparare un’unione omosessuale al matrimonio, in quanto, sul piano dell’esperienza umana e storica, il matrimonio è l’unione di un uomo e una donna, aperta alla generazione dei figli. “Matrimonio” deriva dal latino “matris munus”, e indica il compito e il dono della maternità generatrice di vita; in natura, la differenza sessuale uomo-donna è un dato originario, e un figlio non nasce per via naturale, se non da un uomo e una donna. Le altre vie, utilizzate per far avere dei figli a coppie omosessuali, richiedono un intervento artificiale, che si realizza o con la fecondazione eterologa o con la maternità surrogata. Circa queste due pratiche, ho espresso la mia preoccupazione per il soggetto più debole, che è il bambino che dovrà vedere la luce: nel caso della fecondazione eterologa, si crea uno sdoppiamento tra maternità/paternità biologica e maternità/paternità legale, giuridica; si rischia di porre un soggetto in una situazione in cui, crescendo, potrà sorgere la domanda sulla sua “origine” anche biologica: chi ha figli adottivi, sa benissimo come questa domanda a volte sia dirompente e sia fonte di sofferenze o comunque di fatiche per elaborare la propria identità e la propria genealogia.
La maternità surrogata è lesiva della dignità della donna
Circa la maternità surrogata, ho manifestato la mia opinione contraria, in quanto è una pratica lesiva della dignità della donna, che rende la generazione di una persona oggetto di mercato, e non tiene conto dell’evidenza, offerta oggi dalla medicina e dalla scienza, del reale e reciproco rapporto che si stabilisce tra la gestante e il feto ancora nel grembo; inoltre priva il futuro bambino, per quanto accolto e amato dalla coppia omogenitoriale, del “diritto” di conoscere e di avere una madre naturale, e della ricchezza di crescere in una coppia ben differenziata dal punto di vista psicologico e sessuale. Infine, ho precisato che la Chiesa, nella sua riflessione che nasce dalla Sacra Scrittura, accolta come parola ispirata da Dio, considera l’orientamento omosesssuale una “tendenza disordinata” in rapporto alla natura della creazione, rivelata da Dio. Ovviamente la dottrina della Chiesa non è imposta a nessuno, è proposta e chiede di essere accolta con la luce della ragione, illuminata dalla fede: alle persone che hanno orientamento omosessuale e che sono credenti, la Chiesa propone un cammino in cui non assecondare questo orientamento, ma viverlo solo come amicizia solidale, e vi sono omosessuali cristiani che, pur con fatiche e cadute, – come tutti – riescono a realizzare una forma di vita che li rende contenti. Ora, con questo non ho mai detto che tutti gli omosessuali sono destinati all’infelicità, e non credo che l’insegnamento della Chiesa su questo tema e l’accompagnamento che offre alla libertà delle persone cristiane omosessuali possa essere inteso come violenza, come “pietre scagliate” contro qualcuno, come disprezzo e discriminazione. Come esempio del mio personale atteggiamento, ho raccontato ai ragazzi di un mio carissimo amico che, da alcuni anni, ha scoperto di avere questa tendenza omosessuale e ha iniziato a convivere con un compagno: nel dialogo amicale e fraterno con lui – siamo tuttora amici – gli ho detto che non condivido la sua scelta e che non credo sarà questa la via per la sua piena felicità e per il suo bene. Allo stesso tempo, gli ho chiaramente detto che per me lui rimane un grande amico, e che non vengono meno il mio affetto e la mia stima per lui. Se questa è omofobia, lascio giudicare a lei e ai suoi lettori. Concludo, sottolineando che il clima dell’incontro, come possono testimoniare i docenti presenti e gli stessi ragazzi, era molto sereno e positivo, anche se emergevano differenze di pensiero tra me e alcuni studenti: al termine ho ricevuto alcuni doni preparati alunni dell’Istituto.
+ Mons. Corrado Sanguineti
(Vescovo di Pavia)