Carissimi fratelli e sorelle,
in questi giorni visitiamo le tombe dei nostri cari, in un gesto di affetto, di memoria e di preghiera, e proprio questo giorno è dedicato dalla Chiesa alla Commemorazione di tutti i fedeli defunti: ieri, solennità di Tutti i Santi, abbiamo venerato tutti i nostri fratelli e sorelle, amici di Cristo, che pienamente trasfigurati dalla potenza dello Spirito, vivono nella gioia piena di Dio, nel cielo. In loro abbiamo contemplato la Chiesa che ora vive nella gloria del paradiso: la nostra patria, la mèta verso la quale siamo incamminati come pellegrini dell’eterno. Oggi, offriamo la nostra preghiera, la nostra Eucaristia in suffragio di tutti i defunti che, al di là della morte, vivono ancora un tempo di purificazione, dolorosa e piena di speranza, un tempo di attesa, per poter essere ammessi nella visione beatificante di Dio: è la Chiesa nello stato di purificazione, sono le anime sante, già certe della loro salvezza, del Purgatorio, che, in certo modo, proseguono e portano a compimento la loro piena santificazione. Questo giorno, carissimi fratelli e sorelle, parla al cuore di tutti, anche di chi non condivide la fede cristiana, perché ogni uomo leale e sincero non può non sostare di fronte alla morte, e sente il bisogno di mantenere un contatto, un rapporto con i suoi cari che non sono più: anzi, proprio un segno caratteristico dell’essere umano, che lo differenzia in modo profondo dagli animali, è questo singolare culto dei morti, che si esprime nella cura per dare una degna sepoltura, nel tenere vivo il loro ricordo, e nel continuare a vivere un legame nella preghiera con coloro che, morendo, vivono in una nuova dimensione, oltre il tempo, oltre la morte. E un segno preoccupante e di profonda disumanità del nostro tempo è invece il tentativo di occultare la morte, di fare finta che non ci sia, di seppellire in fretta i defunti, magari per poi dimenticarli; oppure di esorcizzare la morte, di trasformarla in una sorta di parodia, come avviene in certi riti vuoti e tristi, che in questi anni hanno preso piede con la festa di Halloween! Tentativi votati al fallimento, perché, come ci ricordava san Paolo nella seconda lettura, «la creazione è stata sottomessa alla caducità» (Rm 8,20), ed è segnata drammaticamente dalla sofferenza, dal limite umanamente invalicabile della morte. Tuttavia, c’è come un’attesa, una sete di vita, una speranza che sempre rinasce nel cuore, c’è come un travaglio, in noi e nel creato, «tutta insieme la creazione gene e soffre le doglie del parto fino ad oggi»(Rm 8,22). Ora, fratelli e sorelle, è vero ciò che il Concilio Vaticano II afferma dell’uomo di fronte alla morte: «L’istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l’idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell’eternità che porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte» (Gaudium et spes, 18). Nondimeno, noi, lasciati a noi stessi e alle nostre facoltà naturali, brancoliamo come dei ciechi nel buio, quando sostiamo di fronte al mistero dell’umano morire e agli interrogativi su ciò che ci attende oltre questa soglia, che tutti dobbiamo attraversare. Qui la luce decisiva ci proviene dalla parola di Dio, dalla sua rivelazione, che ha trovato pienezza di luce in Gesù Cristo, crocifisso e risorto, e noi, discepoli del Signore, guardiamo ai nostri cari, che sono più tra noi, nelle luce della risurrezione di Gesù. Nel suo sepolcro aperto e vuoto, primo testimone della vita nuova di Cristo, iniziano a compiersi le parole del profeta Isaia che abbiamo appena ascoltato, come promessa di un futuro finalmente liberato dalla morte: « Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25,8). Sì, fratelli e sorelle, nella risurrezione di Cristo, c’è l’inizio della vittoria definitiva e la nostra morte diviene realmente una “Pasqua”, un passaggio di vita in vita, da questo mondo al Padre: lo stesso nome “cimitero” ci ricorda che qui i nostri cari dormono, in attesa della loro risurrezione, e che anche il nostro corpo è destinato alla gloria. La recente Istruzione della Congregazione della Dottrina della Fede, riguardo le indicazioni per una degna sepoltura, e le condizioni in cui è accettata anche la pratica della cremazione, ripropone la fede pasquale, come sorgente della sguardo cristiano di fronte alla morte. Citando Tertulliano, fin dall’inizio, afferma: «La risurrezione dei morti è la fede dei cristiani: credendo in essa siamo tali». Da qui deriva la preferenza per la sepoltura dei nostri morti rispetto alla loro cremazione: «Nel ricordo della morte, sepoltura e risurrezione del Signore, mistero alla luce del quale si manifesta il senso cristiano della morte, l’inumazione è innanzitutto la forma più idonea per esprimere la fede e la speranza nella risurrezione corporale. Seppellendo i corpi dei fedeli defunti, la Chiesa conferma la fede nella risurrezione della carne, e intende mettere in rilievo l’alta dignità del corpo umano come parte integrante della persona della quale il corpo condivide la storia. Non può permettere, quindi, atteggiamenti e riti che coinvolgono concezioni errate della morte, ritenuta sia come l’annullamento definitivo della persona, sia come il momento della sua fusione con la Madre natura o con l’universo, sia come una tappa nel processo della re–incarnazione, sia come la liberazione definitiva della “prigione” del corpo. (…) La Chiesa continua a preferire la sepoltura dei corpi poiché con essa si mostra una maggiore stima verso i defunti; tuttavia la cremazione non è vietata, “a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana”» (Ad resurgendum cum Christo, 3.4). Come madre attenta e sollecita del nostro bene, la Chiesa ci ricorda che le ceneri dei nostri defunti vanno conservate in cimitero o in luogo sacro, e non in casa, né tanto meno vanno disperse, in un gesto che sa di nichilismo e di panteismo: «Sin dall’inizio i cristiani hanno desiderato che i loro defunti fossero oggetto delle preghiere e del ricordo della comunità cristiana. Le loro tombe divenivano luoghi di preghiera, della memoria e della riflessione. I fedeli defunti fanno parte della Chiesa, che crede alla comunione “di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati del cielo; tutti insieme formano una sola Chiesa”. La conservazione delle ceneri in un luogo sacro può contribuire a ridurre il rischio di sottrarre i defunti alla preghiera e al ricordo dei parenti e della comunità cristiana» (Ad resurgendum cum Christo, 5). Carissimi fratelli e sorelle, mi sono permesso di leggervi alcuni passaggi di questo recente e autorevole documento, perché con esso la Chiesa vuole soltanto aiutarci a non perdere la prospettiva della risurrezione, come speranza che dà un orientamento nuovo a tutta la nostra vita e infonde una grande luce sul nostro destino oltre la morte. Non dimentichiamo mai che siamo in cammino verso l’orizzonte, aperto a noi dal Signore risorto, e che ora, nei giorni della nostra vita terrena, noi prepariamo e scegliamo la nostra eternità, secondo il criterio che ci è stato ricordato nel Vangelo del giudizio: alla sera della vita saremo giudicati sull’amore, concreto e fattivo per i nostri fratelli più piccoli, l’amore che si esprime nelle opere di misericordia. Sempre attenti a riconoscere la presenza che si nasconde in ogni fratello sofferente e bisognoso di aiuto: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Amen!
in questi giorni visitiamo le tombe dei nostri cari, in un gesto di affetto, di memoria e di preghiera, e proprio questo giorno è dedicato dalla Chiesa alla Commemorazione di tutti i fedeli defunti: ieri, solennità di Tutti i Santi, abbiamo venerato tutti i nostri fratelli e sorelle, amici di Cristo, che pienamente trasfigurati dalla potenza dello Spirito, vivono nella gioia piena di Dio, nel cielo. In loro abbiamo contemplato la Chiesa che ora vive nella gloria del paradiso: la nostra patria, la mèta verso la quale siamo incamminati come pellegrini dell’eterno. Oggi, offriamo la nostra preghiera, la nostra Eucaristia in suffragio di tutti i defunti che, al di là della morte, vivono ancora un tempo di purificazione, dolorosa e piena di speranza, un tempo di attesa, per poter essere ammessi nella visione beatificante di Dio: è la Chiesa nello stato di purificazione, sono le anime sante, già certe della loro salvezza, del Purgatorio, che, in certo modo, proseguono e portano a compimento la loro piena santificazione. Questo giorno, carissimi fratelli e sorelle, parla al cuore di tutti, anche di chi non condivide la fede cristiana, perché ogni uomo leale e sincero non può non sostare di fronte alla morte, e sente il bisogno di mantenere un contatto, un rapporto con i suoi cari che non sono più: anzi, proprio un segno caratteristico dell’essere umano, che lo differenzia in modo profondo dagli animali, è questo singolare culto dei morti, che si esprime nella cura per dare una degna sepoltura, nel tenere vivo il loro ricordo, e nel continuare a vivere un legame nella preghiera con coloro che, morendo, vivono in una nuova dimensione, oltre il tempo, oltre la morte. E un segno preoccupante e di profonda disumanità del nostro tempo è invece il tentativo di occultare la morte, di fare finta che non ci sia, di seppellire in fretta i defunti, magari per poi dimenticarli; oppure di esorcizzare la morte, di trasformarla in una sorta di parodia, come avviene in certi riti vuoti e tristi, che in questi anni hanno preso piede con la festa di Halloween! Tentativi votati al fallimento, perché, come ci ricordava san Paolo nella seconda lettura, «la creazione è stata sottomessa alla caducità» (Rm 8,20), ed è segnata drammaticamente dalla sofferenza, dal limite umanamente invalicabile della morte. Tuttavia, c’è come un’attesa, una sete di vita, una speranza che sempre rinasce nel cuore, c’è come un travaglio, in noi e nel creato, «tutta insieme la creazione gene e soffre le doglie del parto fino ad oggi»(Rm 8,22). Ora, fratelli e sorelle, è vero ciò che il Concilio Vaticano II afferma dell’uomo di fronte alla morte: «L’istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l’idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell’eternità che porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte» (Gaudium et spes, 18). Nondimeno, noi, lasciati a noi stessi e alle nostre facoltà naturali, brancoliamo come dei ciechi nel buio, quando sostiamo di fronte al mistero dell’umano morire e agli interrogativi su ciò che ci attende oltre questa soglia, che tutti dobbiamo attraversare. Qui la luce decisiva ci proviene dalla parola di Dio, dalla sua rivelazione, che ha trovato pienezza di luce in Gesù Cristo, crocifisso e risorto, e noi, discepoli del Signore, guardiamo ai nostri cari, che sono più tra noi, nelle luce della risurrezione di Gesù. Nel suo sepolcro aperto e vuoto, primo testimone della vita nuova di Cristo, iniziano a compiersi le parole del profeta Isaia che abbiamo appena ascoltato, come promessa di un futuro finalmente liberato dalla morte: « Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25,8). Sì, fratelli e sorelle, nella risurrezione di Cristo, c’è l’inizio della vittoria definitiva e la nostra morte diviene realmente una “Pasqua”, un passaggio di vita in vita, da questo mondo al Padre: lo stesso nome “cimitero” ci ricorda che qui i nostri cari dormono, in attesa della loro risurrezione, e che anche il nostro corpo è destinato alla gloria. La recente Istruzione della Congregazione della Dottrina della Fede, riguardo le indicazioni per una degna sepoltura, e le condizioni in cui è accettata anche la pratica della cremazione, ripropone la fede pasquale, come sorgente della sguardo cristiano di fronte alla morte. Citando Tertulliano, fin dall’inizio, afferma: «La risurrezione dei morti è la fede dei cristiani: credendo in essa siamo tali». Da qui deriva la preferenza per la sepoltura dei nostri morti rispetto alla loro cremazione: «Nel ricordo della morte, sepoltura e risurrezione del Signore, mistero alla luce del quale si manifesta il senso cristiano della morte, l’inumazione è innanzitutto la forma più idonea per esprimere la fede e la speranza nella risurrezione corporale. Seppellendo i corpi dei fedeli defunti, la Chiesa conferma la fede nella risurrezione della carne, e intende mettere in rilievo l’alta dignità del corpo umano come parte integrante della persona della quale il corpo condivide la storia. Non può permettere, quindi, atteggiamenti e riti che coinvolgono concezioni errate della morte, ritenuta sia come l’annullamento definitivo della persona, sia come il momento della sua fusione con la Madre natura o con l’universo, sia come una tappa nel processo della re–incarnazione, sia come la liberazione definitiva della “prigione” del corpo. (…) La Chiesa continua a preferire la sepoltura dei corpi poiché con essa si mostra una maggiore stima verso i defunti; tuttavia la cremazione non è vietata, “a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana”» (Ad resurgendum cum Christo, 3.4). Come madre attenta e sollecita del nostro bene, la Chiesa ci ricorda che le ceneri dei nostri defunti vanno conservate in cimitero o in luogo sacro, e non in casa, né tanto meno vanno disperse, in un gesto che sa di nichilismo e di panteismo: «Sin dall’inizio i cristiani hanno desiderato che i loro defunti fossero oggetto delle preghiere e del ricordo della comunità cristiana. Le loro tombe divenivano luoghi di preghiera, della memoria e della riflessione. I fedeli defunti fanno parte della Chiesa, che crede alla comunione “di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati del cielo; tutti insieme formano una sola Chiesa”. La conservazione delle ceneri in un luogo sacro può contribuire a ridurre il rischio di sottrarre i defunti alla preghiera e al ricordo dei parenti e della comunità cristiana» (Ad resurgendum cum Christo, 5). Carissimi fratelli e sorelle, mi sono permesso di leggervi alcuni passaggi di questo recente e autorevole documento, perché con esso la Chiesa vuole soltanto aiutarci a non perdere la prospettiva della risurrezione, come speranza che dà un orientamento nuovo a tutta la nostra vita e infonde una grande luce sul nostro destino oltre la morte. Non dimentichiamo mai che siamo in cammino verso l’orizzonte, aperto a noi dal Signore risorto, e che ora, nei giorni della nostra vita terrena, noi prepariamo e scegliamo la nostra eternità, secondo il criterio che ci è stato ricordato nel Vangelo del giudizio: alla sera della vita saremo giudicati sull’amore, concreto e fattivo per i nostri fratelli più piccoli, l’amore che si esprime nelle opere di misericordia. Sempre attenti a riconoscere la presenza che si nasconde in ogni fratello sofferente e bisognoso di aiuto: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Amen!
+ Mons. Corrado Sanguineti
Vescovo della Diocesi di Pavia