Già negli incontri vicariali e nei contatti personali, vi ho espresso la mia ferma determinazione a essere con voi e per voi padre, fratello e amico, riconoscendo che ci lega una comunione profonda, radicata nella stessa chiamata a essere pastori e nel dono del sacramento dell’Ordine che ci configura all’unico Pastore della Chiesa, Cristo Gesù, il Signore che vogliamo amare, seguire e servire! L’ho detto e lo ripeto con intima convinzione: un Vescovo non può concepirsi da solo, senza il suo presbiterio e senza il suo popolo, e ciò vale anche per ogni presbitero, per ogni ministro del Vangelo. Il legame che ci unisce oggettivamente e sacramentalmente chiede di essere vissuto ed espresso, realmente, effettivamente, dentro una relazione che interpella e coinvolge la nostra libertà, dentro il cammino di una personale e comunitaria conversione a Cristo, che ci chiama a essere suoi amici, suoi apostoli, suoi testimoni.
L’incontro di oggi è pensato come un dialogo, “a cuore aperto”, tra il presbiterio e il suo vescovo, un dialogo nel quale condividere la bellezza e le fatiche del nostro essere pastori oggi, un dialogo in cui esprimere, con franchezza, fraternità e rispetto, domande, esigenze, attese, un dialogo in cui iniziare a mettere a fuoco ciò che riteniamo prioritario per la nostra vita sacerdotale e per il nostro ministero che è totalmente teso a servire la fede del nostro popolo e a sostenere il cammino d una Chiesa che, sotto la guida di Papa Francesco, vuole essere una “Chiesa in uscita”, capace di testimoniare agli uomini e alle donne delle nostre città, dei nostri ambienti la gioia del Vangelo, la luce potente che Cristo immette nell’umana avventura.
Mi permetto d’introdurre la nostra conversazione, con tre riflessioni fondamentali, che possano rappresentare l’orizzonte del nostro incontro e del lavoro che ci attende nei prossimi mesi. Vi ricordo che la prossima Assemblea della C.E.I. a maggio sarà dedicata in buona parte al tema La “riforma del clero” a partire dalla formazione permanente, e in vista di questo appuntamento, proprio ieri (mercoledì 2 marzo), abbiamo dedicato una parte dell’incontro dei Vescovi lombardi a prendere in esame una “Griglia di lavoro” che potrà essere utilizzata, nelle forme che sceglieremo, anche negli incontri di voi sacerdoti, a livello vicariale, e nel Consiglio Presbiterale. Tuttavia, non intendo ora riprendere questo testo, ma richiamare a me e a voi tre dimensioni che ritengo decisive e non scontate del nostro essere e del nostro vivere come presbiteri, dentro il popolo di Dio.
Partiamo e ripartiamo sempre dallo stupore del dono che segna la nostra esistenza, per evitare il rischio di dare per ovvio il fondamento e la radice del nostro ministero: siamo, infatti, uomini, fragili e peccatori come tutti, «rivestiti di umana debolezza», direbbe la lettera agli Ebrei, toccati dalla grazia di un amore che ha preso e prende la nostra persona, il nostro cuore, la nostra carne. Siamo qui, stamattina, perché, in modi e tempi differenti, secondo l’irripetibile storia di ciascuno di noi, abbiamo incrociato una Presenza che ci ha attratto e ci ha chiamati a seguirlo, come è accaduto ai primi discepoli del Signore, e ci ha chiesto di diventare segno e strumento vivo della sua grazia e della sua misericordia. All’origine del nostro sacerdozio, c’è una storia di preferenza, c’è un’affezione che Cristo ha destato in noi, c’è l’esperienza di uno sguardo – come tante volte ci ricorda il nostro Papa, parlando della sua vocazione – e tutto ciò, amici carissimi, non è un fatto passato, è un avvenimento presente, perché ogni giorno, ogni mattina che ci alziamo, siamo oggetto di questa chiamata, una chiamata non solo al sacerdozio, ma nel sacerdozio, nel cammino, anche accidentato, del nostro essere preti.
Guardate che occorre sempre tornare a questa coscienza grata e commossa di sé, occorre fare memoria della nostra storia di grazia e non smarrire “il primo amore”, perché, altrimenti, perdiamo il nostro volto, la nostra gioia, la ragione della nostra vita, e le giornate si fanno pesanti e stanche. Non perdiamo mai di vista quello che ricordava Papa Benedetto nella sua omelia alla fine dell’Anno sacerdotale nel giugno 2010: «Il sacerdote non è semplicemente il detentore di un ufficio, come quelli di cui ogni società ha bisogno affinché in essa possano essere adempiute certe funzioni. Egli invece fa qualcosa che nessun essere umano può fare da sé: pronuncia in nome di Cristo la parola dell’assoluzione dai nostri peccati e cambia così, a partire da Dio, la situazione della nostra vita. Pronuncia sulle offerte del pane e del vino le parole di ringraziamento di Cristo che sono parole di transustanziazione – parole che rendono presente Lui stesso, il Risorto, il suo Corpo e suo Sangue, e trasformano così gli elementi del mondo: parole che spalancano il mondo a Dio e lo congiungono a Lui. Il sacerdozio è quindi non semplicemente “ufficio”, ma sacramento: Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola “sacerdozio”» (Benedetto XVI, omelia per la conclusione dell’Anno Sacerdotale, 11/06/2010).
Allora, custodire in noi la verità del nostro sacerdozio, vivere una relazione autentica e intensa con il Signore Gesù, dando davvero il primato alla preghiera, all’ascolto quotidiano della Parola, all’adorazione, non è una sorta di “premessa spirituale” al nostro vivere e al nostro agire, ma è la sostanza della nostra vita di uomini conquistati da Cristo, ed è la condizione di una continua rigenerazione, di una rinnovata giovinezza del cuore! Una certa “disciplina” interiore e esteriore non è una gabbia che soffoca, ma è l’alveo che permette all’acqua fresca dello Spirito di scorrere in noi e attraverso di noi, con le nostre povertà e inadeguatezze, umili, ma lieti.
Questa chiamata di Cristo ci colloca dentro una comunità, che è la Chiesa dei discepoli del Signore, e, in modo più stretto per noi, il presbiterio: non siamo preti da soli, ciascuno per sé, apparteniamo a un unico corpo, una concreta comunità presbiterale, con la sua storia, le sue ricchezze, i suoi limiti. Proprio il sacramento ricevuto ci inserisce in una comunità di fratelli, guidata dal Vescovo padre e pastore, ed è questa comunità il luogo e l’orizzonte della nostra permanente conversione e formazione, e della nostra missione nelle comunità che Dio ci affida. Nel documento di lavoro consegnato a noi vescovi, s’indica «l’esigenza di accompagnare il passaggio da “un’immagine del prete declinata al singolare a un esercizio del ministero segnato da una forma plurale”». Che cosa significhi tutto ciò, lo dobbiamo capire e scoprire insieme, io con voi e voi con me, in un cammino che favorisca “processi di riforma”, senza imposizioni, impazienze e schematismi, accettando, da una parte, i tempi delle persone, concretamente di tanti presbiteri che si sono formati in una prospettiva forse più individualista, e magari vivono con fatica certi passaggi e certe nuove esigenze, dall’altra sapendo anche osare e favorire forme di maggior comunione tra noi, proposte e assunte nella libertà.
Certamente ci sono scelte e ci sono esercizi di comunione che favoriscono la crescita di questo senso d’appartenenza all’unico presbiterio, alimentano una comunione affettiva ed effettiva tra noi, e una collaborazione pastorale, che è già iniziata, vissuta però non solo come risposta a esigenze di aggregazione o di gestione, nel ministero, ma come «un luogo di fraternità concreta e di santificazione», cioè un luogo per essere di Cristo, suoi amici e amici in Lui. Così come ci possono prassi, atteggiamenti e mentalità che invece, frenano o rendono più faticoso e lento questo processo di “riforma” che è richiesto dai tempi e, prima ancora, da una più profonda coscienza ecclesiale.
Come pratiche e scelte che possono favorire il crescere di tutto ciò nella nostra comunità presbiterale, si possono indicare vari esempi:
• coltivare dei rapporti amicali tra noi, anche partendo da affinità e vicinanza nel ministero;
• valorizzare i momenti di mensa comune, come luogo di serena fraternità e di scambio;
• promuovere una collaborazione nell’azione pastorale, tra parrocchie vicine, nell’ambito delle unità pastorali esistenti (certamente da ripensare e da definire, come criteri e dimensioni);
• dare rilievo ai gesti d’incontro a livello diocesano e vicariale (ritiri, incontri d’aggiornamento, pellegrinaggi, esercizi);
• in questo orizzonte, con gradualità e con rispetto delle persone, si potranno anche favorire scelte di vita in comune, tra preti che condividono la cura di più parrocchie o di una zona e che si rendoni disponibili per questa forma di vita;
• impegnarsi perché sia i Vicari Foranei sia il Consiglio Presbiterale si facciano voce di tutto il presbiterio, proponendo anche al Vescovo temi sentiti più urgenti o segnalando situazioni di fatica e di difficoltà tra i confratelli.
Da parte mia, oltre a voler avvalermi della collaborazione dei Vicari e del Consiglio Presbiterale, sento la responsabilità e il dono di vivere il più possibile, una relazione concreta con ciascuno di voi, cercando di essere accessibile a tutti, cercando di non lasciare nessuno ai margini della vita diocesana, con una particolare attenzione ai sacerdoti malati, anziani, a quelli che cessano dal vivere responsabilità negli uffici, ma restano presbiteri nel cuore della Chiesa, ai sacerdoti più giovani, nei primi anni del loro ministero, e ai sacerdoti che, di volta in volta, sono chiamati ad assumere nuovi incarichi di ministero, nella procedura dei trasferimenti: vi prego di aiutarmi, di provocarmi, se necessario di correggermi, perché possa adempiere il mio servizio con voi a questa amata e bella Chiesa di Pavia che il Signore mi ha affidato!
In ultimo, credo che faccia parte del nostro compito prendersi a cuore la realtà intera della nostra Diocesi, Chiesa particolare che vive nel respiro dell’unica Chiesa universale: da qui, l’invito, che vale per noi Vescovi in primis, ma anche per voi sacerdoti, ad accogliere e a trasformare in scelte pastorali condivise gli orientamenti del Santo Padre che, nel Convegno di Firenze sul nuovo umanesimo, a riconsegnato alle nostre comunità e a tutta la Chiesa italiana, la sua esortazione Evangelii Gaudium: sarà bene, nel nostro cammino, vedere che indicazioni nascono da questo ricco documento, identificare alcune scelte essenziali, sulle quali poi verificarci in concreto.
In particolare, menziono due ambiti di cui farci carico e in cui maturare degli orientamenti condivisi, senza ovviamente abdicare alla mia responsabilità di una parola ultima e di una guida:
• Un primo ambito, già accennato, è la verifica e la definizione delle “unità pastorali”, sia nelle loro dimensioni, sia nei criteri e negli elementi di collaborazione tra parrocchie e comunità che fanno parte della stessa unità, sia nella distribuzione del clero, coadiuvato da diaconi, religiose e fedeli laici più impegnati e attivi.
• Un secondo ambito, tra l’altro evidenziato nella Griglia di Lavoro consegnata a noi Vescovi, è quello dell’amministrazione dei beni, che vede spesso un sovraccarico di lavoro e di tempo, nella vita dei presbiteri, sovraccarico dovuto sia alla riduzione di numero dei sacerdoti in ministero, sia alla sempre maggiore complessità della normativa civilistica e fiscale in materia di beni, alle difficoltà economiche e alla carenza di motivazione e/o preparazione di molti presbiteri. Qui si apre lo spazio a una riflessione, che dovremo con calma maturare, riguardo il rapporto tra parroci e Uffici della Curia diocesana, in cui si tenga conto delle esigenze di tutta la Diocesi, ma anche delle esigenze delle singole comunità, e riguardo allo sviluppo di forme di collaborazione e di gestione dei beni, tra parrocchie della stessa unità, con l’ausilio ormai indispensabile di professionisti laici (come già accade nei Consigli Parrocchiali degli Affari Economici). Nello strumento di lavoro preparato dalla C.E.I. si offrono suggerimento che nei prossimi mesi potremmo prendere in considerazione, adattare alle nostre situazioni e provare a verificare nella pratica.
Concludo, scusandomi se forse mi sono dilungato troppo, ma ci tenevo a condividere queste prime riflessioni e orientamenti: ora vi ascolto, e vi chiedo d’intervenire con libertà e carità, soprattutto con il desiderio di dare il vostro apporto, anche in forma di domande e di esperienze, e mi auguro che il Signore ci conceda di crescere come suoi amici, sempre più innamorati del Vangelo e appassionati nel servire i nostri fratelli e le nostre sorelle. Faccio mie le parole della preghiera con cui Benedetto XVI concluse la sua omelia alla fine dell’Anno Sacerdotale:
«Signore, noi ti ringraziamo
perché hai aperto il tuo cuore per noi;
perché nella tua morte e nella tua risurrezione
sei diventato fonte di vita.
Fa’ che siamo persone viventi,
viventi dalla tua fonte,
e donaci di poter essere anche noi fonti,
in grado di donare a questo nostro tempo
acqua della vita.
Ti ringraziamo per la grazia del ministero sacerdotale.
Signore, benedici noi
e benedici tutti gli uomini di questo tempo
che sono assetati e in ricerca. Amen».
+ Mons. Corrado Sanguineti
Vescovo della Diocesi di Pavia