Uno scrigno di bellezza, di arte, di storia e di cultura pavese. Nel tardo pomeriggio di sabato 21 gennaio è stato inaugurato il nuovo Museo Diocesano di Pavia, che trova sede nell’antica cripta di Santa Maria del Popolo, sotto alla Cattedrale. Presenti le autorità civili e militari della città, il Vescovo Mons. Corrado Sanguineti, il presidente della Fondazione Museo Diocesano di Pavia don Giancarlo Sozzi, il direttore Marco Romano e la curatrice indipendente Chiara Cardini.
Un momento celebrativo emozionante, durante il quale Mons. Vescovo è intervenuto con la riflessione che è riportata qui di seguito ed ha benedetto il Museo. Numerosissimi i pavesi che hanno voluto visitare lo spazio museale per la prima volta compiendo un percorso contraddistinto da un evidente valore simbolico: la visita al Museo diocesano inizia infatti dall’antico sarcofago, collocato nella parte esterna dell’ingresso, e prosegue attraverso la penombra degli ambienti sotterranei per tornare nuovamente alla luce attraverso due aperture circolari nella pavimentazione della Cattedrale che permettono di contemplare la luminosità che discende lungo la grande cupola a manifestazione della presenza divina. Dal grembo romanico alla luce rinascimentale: ha luogo una nascita, che è anche nascita di una comunità a partire dalle sue radici spirituali e storiche.
Di seguito l’intervento del Vescovo, Mons. Corrado Sanguineti.
Distinte Autorità Civili e Militari,
Gentili Convenuti,
Il Museo Diocesano di Pavia oggi apre le sue porte.
Desidero anzitutto esprimere un sincero ringraziamento a tutti coloro che, nei vari anni e a diverso titolo, hanno contribuito alla realizzazione di quest’opera. Il nuovo Museo Diocesano va ad arricchire la già copiosa realtà museale presente in città -penso ai
Musei civici e ai vari Musei collegati all’Università- trovando spazio nei resti della cripta romanica dell’antica cattedrale di Santa Maria del Popolo: un luogo ricco di storia e di fede, recuperato e riqualificato nella sua nuova destinazione.
Davanti ai nostri occhi stanno preziosi manufatti di artigianeria, oreficeria, tessitura, pittura e scultura che chi ci ha preceduto ha voluto per il culto reso a Dio e, quindi, a servizio della fede.
Già da questo noi possiamo comprendere la caratteristica fondamentale di un Museo Diocesano: come ho già avuto modo di esprimere ai Sacerdoti della Diocesi, esso- il Museo Diocesano- non è solo esposizione di oggetti o di pezzi da collezione: infatti si inserisce anzitutto nella vita di una Comunità Cristiana che anche attraverso l’utilizzo del linguaggio delle arti canta le grandi opere di Dio e proclama la sua fede nel Cristo Risorto.
Un’altra riflessione può accompagnarci nella visita alla raccolta qui custodita e costituita, principalmente, da pezzi che venivano utilizzati in passato nelle celebrazioni liturgiche. Il teologo italo-tedesco Romano Guardini, nel suo saggio dal titolo “Lo spirito della Liturgia”
(1918), scriveva così:
“L’opera d’arte non ha scopo, bensì ha un senso, e precisamente quello ut sit, d’essere concretamente, e che in essa l’essenza delle cose, la vita interiore dell’uomo-artista ottenga un’espressione sincera e pura. L’opera d’arte deve essere soltanto splendor veritatis” (splendore
della verità) 1 . Questo accade perchè “Lo scopo è il fine dello sforzo, del lavoro, dell’ordine; il senso è il contenuto dell’esistenza, della
vita che fiorisce e matura. I due poli dell’essere pertanto sono: scopo e senso, sforzo e crescita, lavoro e produzione, ordinamento e creazione” 2 . In relazione a ciò, così continuava Guardini: “La Liturgia non ha scopo […] perché essa, presa in senso proprio, ha la sua ragione d’essere non nell’uomo, ma in Dio. Nella Liturgia l’uomo non guarda a sé, bensì a Dio; verso di Lui è diretto il suo sguardo. In essa l’uomo […] contempla la gloria di Dio. Il senso della Liturgia è pertanto questo: che l’anima stia dinanzi a Dio, si effonda dinanzi a Lui, si inserisca nella sua vita, nel mondo santo delle realtà, verità, misteri, segni divini, e così si assicuri la vera e reale vita sua propria” 3 . E così concludeva: “In essa [nella Liturgia] viene offerta all’uomo l’occasione di realizzare […] la sua vocazione divina: un figlio di Dio. […] cosa del tutto soprannaturale, corrispondente però, nello stesso tempo, alla natura intima dell’uomo. […] Questo pertanto il fatto mirabile che si offre nella Liturgia: arte e realtà diventano un’unica cosa nella condizione soprannaturale del figlio e fanciullo insieme, sotto lo sguardo di Dio […] essere un’opera d’arte, questo costituisce il nucleo più intimo della Liturgia”.
Mi pare che questi passaggi della riflessione di Guardini ci aiutino bene a comprendere la relazione che sussiste tra la collezione esposta e la vita della Comunità cristiana, tra l’arte e la fede celebrata: il Museo Diocesano non è un’esposizione rivolta solo a cultori delle scienze liturgiche o delle varie tecniche artistiche, perché esso è un luogo in cui, anche attraverso la fruizione di opere d’arte specifiche -quali possono essere i vasi sacri o preziosi codici miniati- l’uomo viene trasportato alla contemplazione del mistero di Dio, recuperando così la sua dimensione-meglio, la dignità propria- di “figlio suo”.
Questa è l’esperienza che, fin dal IV secolo-quando il vescovo Siro portò il Vangelo all’antica Ticinum- la Comunità Cristiana che è in Pavia continua a fare e che oggi viene raccontata anche attraverso questo spazio museale e la raccolta in esso ospitata.
La Chiesa di Pavia, pertanto, con gioia saluta questo nuovo Museo con l’auspicio che esso possa sempre svolgere il suo prezioso servizio alla fede nella Pasqua del Cristo, fede declinata nella triplice dimensione catechetica, artistico-culturale e comunitaria.