Carissimi amici,
Ci siamo ritrovati questa sera, in questa bella chiesa, santuario di S. Maria delle grazie, affidato ai cari salesiani, per celebrare la festa di San Giovanni Bosco, padre e maestro dei giovani: saluto Don Eugenio Riva, rettore del Collegio universitario intitolato a Don Bosco, saluto voi cari giovani qui presenti, voi docenti, insieme ai responsabili della pastorale universitaria di Pavia.
Condividiamo da mesi la difficile situazione determinata dalla pandemia ancora in atto, e posso immaginare le fatiche che vivete come studenti, docenti e personale amministrativo della nostra università: le lezioni a distanza o a presenza limitata, la riduzione delle attività, la minore presenza nei collegi della città, la preoccupazione per la salute di familiari o amici, le incertezze sul futuro, l’immagine stessa dell’università con aule e cortili senza vita, tutto ciò diventa motivo di domanda e di preoccupazione. Ci potrebbe essere il rischio di entrare in un clima di desolazione e di scoraggiamento, quasi di rinuncia a vivere in pienezza anche questo tempo, come provocazione alla libertà e al cuore, come occasione per cercare e riconoscere ciò che dà veramente consistenza e respiro e permette di affrontare il presente, con le sue oggettive e motivate limitazioni, senza ridurre o spegnere il desiderio di vita e di positività, che dovrebbe caratterizzare, in modo particolare, il tempo della giovinezza.
A volte in questi giorni mi capita di pensare: «Chissà come avrebbe affrontato questo tempo Don Bosco con i suoi giovani!». Certo Don Bosco non ha operato nell’ambiente universitario, tuttavia ha consumato la sua vita sempre con e per i giovani, e ha conosciuto situazioni di emergenza sociale, di povertà diffusa, di epidemie tremende, come il colera che colpì Torino nel 1854, sapendo reagire e coinvolgere i suoi giovani amici, fino a mettere a rischio la loro vita: pensiamo quando per curare i malati di colera, San Giovanni Bosco mandò i suoi giovani in mezzo ai malati, assicurando che, se si fossero tutti confessati e affidati alla custodia di Maria ausiliatrice, nessuno si sarebbe infettato, come poi avvenne. La fede dei santi davvero muove le montagne!
Sicuramente, un modo bello di vivere questo tempo è non restare chiusi in noi stessi o nel cerchio degli impegni di studio: metterci a disposizione anche per gesti semplici di servizio e di carità, condividere i bisogni di chi vive situazioni di disagio e di bisogno, come alcuni di voi hanno fatto e continuano a fare, in vari modi – penso al coinvolgimento di universitari nei collegi per preparare alimenti a persone e famiglie in povertà, a chi cerca di mantenere rapporti di vicinanza con anziani soli o nelle strutture di accoglienza, a chi incontra i senza tetto e porta loro qualche aiuto – questa è una strada per vivere il presente, con un cuore che non si ripiega su di sé.
Se guardiamo all’esperienza che Don Bosco, con i suoi primi salesiani, ha generato, ci accorgiamo che condividendo l’esistenza dei giovani, il nostro Santo testimoniava e proponeva qualcosa di molto più grande che delle iniziative, pur belle, di servizio e di aiuto ai poveri o ai malati.
Don Bosco incarnava il fascino di una vita resa intensa e feconda dalla fede, dall’amicizia con Cristo, come presenza viva, e questa vita nella fede portava con sé una letizia, che si esprimeva anche come allegria, come gioia, e spalancava il cuore di chi stava con Don Bosco a ciò che è veramente grande, buono, vero, bello!
Ecco il “segreto” di San Giovanni Bosco: una compagnia, una prossimità concreta alla vita dei suoi ragazzi, nella quale si comunicava, per contagio, per osmosi, la gioia della fede, colta anche nella sua solidità di ragioni e di contenuti, insieme a un’attenzione personale ai suoi amici più giovani. Stanno qui i pilastri, i tratti originali, per il suo tempo, ma anche per il nostro, del suo sistema educativo: ragione, religione e amorevolezza.
Carissimi amici, non è forse questa una strada anche per noi? Per vivere da protagonisti questo tempo, con le sue sfide e provocazioni, per essere nell’ambiente universitario, con i vostri compagni di studio o colleghi d’insegnamento e di lavoro, una presenza originale e positiva?
Raccogliamo allora, dalla testimonianza di San Giovanni Bosco e dalla parola di Dio, in modo particolare dal passo della lettera di S. Paolo ai Filippesi, appena proclamato alcune indicazioni.
Don Bosco stava in mezzo ai giovani e chiedeva ai salesiani di essere a contatto, in ambienti concreti, come il cortile, i laboratori di lavoro, gli spazi della vita comune. Questo è essenziale per ogni esperienza di fede: avere la possibilità di condividere tempi e luoghi, tra voi giovani e avendo vicino anche delle figure di adulti – laici, consacrate, preti – che, pur con i loro limiti, siano testimoni di un’umanità resa vera e lieta dall’incontro con Cristo, dalla fede in lui.
Perciò, abbiate a vivere un’amicizia che vi sostiene nella fede, che vi rilancia nella vita, che vi apre al servizio, e osservando le norme richieste dalla necessità di non favorire il diffondersi di un virus che colpisce, in modo serio, chi è più fragile o più avanti negli anni, riprendete a incontravi anche in presenza, tornate a studiare insieme, negli ambienti dell’università e usando anche le aule di studio presso l’oratorio di San Francesco, condividete momenti di preghiera, come la Messa domenicale celebrata alle 18.00 nella chiesa di San Francesco e animata dalla pastorale universitaria.
In questo cammino vissuto insieme, rinnovate ogni giorno la sorgente di una gioia che non viene meno, anche nelle prove dell’esistenza: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5).
Sì, carissimi amici, il nostro cuore è lieto, perché Cristo vive! Possiamo essere lieti in ogni circostanza, perché non siamo soli, perché il Signore è vicino, è una presenza fedele, che incontriamo nel volto di testimoni e nel dono di un’amicizia grande per la vita, nell’ascolto della Scrittura e dei Vangeli, nei sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, che ci accompagnano, nei poveri e sofferenti che avviciniamo e che impariamo ad amare.
Ciò che può essere motivo di sofferenza, di fatica, di ansia, diventi in noi preghiera, come faceva Don Bosco con i suoi giovani: «Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù» (Fil 4,6-7).
La prima testimonianza che può toccare il cuore dei vostri compagni e colleghi è una vita, capace di letizia, di bene e di positività in ogni tempo, e come ci ricorda sempre Papa Francesco, la fede si comunica per attrazione, non per proselitismo. Già San Giovanni Paolo II, incontrando i giovani radunati a Valdocco, nel suo primo viaggio a Torino, diceva: «Il cristianesimo è gioia, e chi lo professa e lo fa trasparire nella propria vita ha il dovere di testimoniarla, di comunicarla e di diffonderla intorno a sé. Ecco perché ho citato queste due figure. Don Bosco: sono andato ancora a trovare la sua tomba, e mi è sembrato sempre gioioso, sempre sorridente. E Pier Giorgio: era un giovane di una gioia trascinante, una gioia che superava anche tante difficoltà della sua vita perché il periodo giovanile è sempre anche un periodo di prova delle forze» (Discorso ai giovani di Torino, 13 aprile 1980).
Ecco, carissimi amici: siamo chiamati, soprattutto oggi, in questo passaggio complesso che stiamo vivendo, ad avere nel cuore ciò che è grande e bello, ciò che entusiasma e appassiona, ciò che permette di essere creativi e generativi, in ciò che facciamo, studiamo, costruiamo!
Chiediamo a San Giovanni Bosco, educatore instancabile dei giovani, che ci aiuti a vivere la fede in Cristo come gioia che s’irradia, come amore che si dona, come energia di bene che ci mette sempre in movimento e in cammino. Amen!