L’importanza della preghiera come fulcro della vita cristiana e come via per tornare a credere ed a sperare (e per relazionarci con Dio e con se stessi) ma anche il ripensamento del ruolo della Chiesa all’interno della comunità pavese e il ruolo dei fedeli laici, visti non più come semplici collaboratori ma come “corresponsabili” della comunità di cui fanno parte. Sono le tre direttrici su cui si muoveranno le iniziative del nuovo Anno Pastorale. Come è consuetudine della fine del mese di luglio, ne abbiamo parlato con il Vescovo di Pavia, Mons. Corrado Sanguineti. E con lui abbiamo parlato anche di anziani e fragili, che probabilmente meriterebbero, dove è possibile, di trascorrere serenamente gli anni della maturità non in una Rsa ma a casa propria, accanto ad affetti e cari volti.
Eccellenza, guardiamo il nuovo Anno Pastorale: quale ispirazione ci guiderà, tenendo conto del prosieguo del cammino sinodale anche nella Chiesa di Pavia? E a quale tematica sarà dedicata la nuova Lettera Pastorale?
“Come avevo annunciato nella Lettera Pastorale diffusa a Pentecoste di quest’anno, vorremmo avviare il cammino di ripensamento della presenza della comunità cristiana sul nostro territorio e vorremmo vivere questo momento come una sorta di ‘cantiere sinodale’ che dovrà coinvolgere tutta la nostra diocesi, le unità pastorali e tutte le parrocchie che hanno già iniziato anche in città a fare un lavoro di rete tra le diverse zone pastorali; le Unità Pastorali, infatti, dovranno originarsi anche in città. Questo ripensamento non ha solo una finalità organizzativa, ma vuole essere un momento di discernimento ecclesiale che vogliamo organizzare anche ascoltando le comunità e chiamando i nostri fedeli laici non solo ad una collaborazione con i presbiteri e con gli altri operatori pastorali come i diaconi permanenti e i catechisti, ma ad una nuova logica di corresponsabilità: ogni battezzato, in forza del battesimo, è chiamato a sentirsi corresponsabile, il che significa saper ‘portare insieme’ e ‘rispondere insieme’ a quello che il Signore ci chiede per vivere la missione nel nostro tempo. Questo percorso vorremmo viverlo in due tempi: nel prossimo autunno cercheremo di realizzare quello che è il terzo cantiere del cammino sinodale che era stato già previsto ed è il Cantiere delle Diaconie, che mette al centro la corresponsabilità e la formazione dei laici. Questo cantiere vorrebbe anche aiutare ad avviare nella nostra diocesi percorsi di formazione per i ministeri istituiti come i lettori, gli accoliti e i catechisti che nella logica di Papa Francesco non sono solo coloro che ricevono il Ministero (il catechista non è semplicemente chi fa catechismo) ma diventano persone che fanno da punto di riferimento per la vita delle comunità. Nel periodo che arriverà dopo il Natale, tra gennaio e marzo 2024, vogliamo vivere una fase di ascolto del vissuto delle unità pastorali esistenti e di quelle forme di collaborazione già in atto nelle varie zone tra parrocchie, un ascolto che ci permetta di cogliere i passi positivi già fatti (perché non partiamo da zero!) e ci aiuti anche ad ascoltare le istanze e le fatiche vissute in questi anni dalle unità pastorali, le scelte ormai maturate e positive, le luci e le ombre per arrivare a verificare l’adeguatezza di queste realtà e forse per fare anche qualche scelta che potrà riguardare la conformazione territoriale. Contemporaneamente, accogliendo l’indicazione del Papa che è stata ripresa e rilanciata dal Dicastero per la nuova Evangelizzazione, metteremo al centro della nostra riflessione e della nostra vita l’esperienza della preghiera come vita, come cuore di una comunità credente, lasciandoci accompagnare da Sant’Agostino, grande maestro di preghiera; come scrivevo nella lettera di Pentecoste, seguiremo questo invito a riscoprire la preghiera nel suo valore essenziale per la vita di fede cercando anche di riscoprirne alcune forme. Vorremmo accompagnare questo cammino mentre, come Chiesa, ci interroghiamo sul nostro essere tale e su come ripensare la nostra vita e le nostre forme di vita comunitaria perché la Chiesa non è un’azienda che si organizza ma è la comunità del Signore ed è bene che questo percorso lo si compia in un clima di preghiera. Accogliamo così anche l’esortazione del Papa di vivere in preghiera l’anno in preparazione Al Giubileo del 2025. La Lettera Pastorale che uscirà con l’inizio dell’autunno sarà proprio dedicata al tema della preghiera: il titolo sarà ‘Signore insegnaci a pregare’. La lettera sarà abbastanza breve, riprenderò alcune riflessioni essenziali che saranno affidate alle comunità nei tempi forti dell’anno liturgico e cioè Avvento e Natale e Quaresima e Pasqua e nella lettera farò riferimento anche alle preghiere che si legano a questi tempi liturgici; per capirci, la preghiera come domanda-desiderio e attesa è propria dell’Avvento, la preghiera come adorazione-silenzio e ascolto è del Natale, la preghiera come invocazione di perdono e di intercessione è la Quaresima e la preghiera come lode e ringraziamento è la Pasqua e Pentecoste. Mi piacerebbe che la diocesi potesse camminare su questi due binari: il cammino di ripensamento che ci vedrà impegnati nell’ascolto delle comunità e l’esperienza del pregare; nella lettera darò alcune indicazioni su forme semplici di preghiera da riscoprire e da vivere”.
Inaugurazione del nuovo Anno Pastorale: chi sarà ad accompagnare la comunità pavese quest’anno nell’appuntamento di presentazione?
Per l’inaugurazione dell’Anno Pastorale abbiamo scelto un momento in Duomo in orario serale con la convocazione della nostra comunità per un gesto di preghiera e di invocazione allo Spirito, per affidare al Signore in questo clima di preghiera il cammino di questo anno. Vorremmo che ci accompagnasse la parola di un testimone di preghiera, qualcuno che ci dica e ci racconti di nuovo la bellezza del pregare cristiano soprattutto nella dimensione del pregare la Parola di Dio nella forma della Lectio. Stiamo ancora individuando chi sarà la persona che ci guiderà, non vorremmo un esperto ma un testimone. Poi, alla conclusione di questo evento di preghiera, verranno date alcune indicazioni che riguardano i tempi del cammino dell’anno con le due tematiche proposte in precedenza. Vorrei cercare di tenere insieme i due elementi perché da una parte è vero che il nostro tempo ci chiede di ripensare a come essere Chiesa arrivando anche a scelte maturate, cercando davvero di promuovere una corresponsabilità di tutti i battezzati e un cambio di mentalità per noi pastori e presbiteri con l’idea anche di lavorare più in equipe con vari soggetti, dall’altra parte abbiamo però anche la proposta che ci fa il Papa relativa all’’anno dedicato alla preghiera, qualcosa di provvidenziale che ci fa capire come il cammino di ripensamento non sia ‘aziendale’ ma ci faccia considerare discepoli del Signore in cammino. Al di là di quello che può apparire, a mio parere oggi c’è sete di preghiera, vedo persone che vivono forme estranee di preghiera o che non conoscono più alcune ricchezze che sono alla base dell’esperienza cristiana; ma la chiesa dovrebbe essere innanzitutto una comunità che prega”.
Quali sono gli “snodi” e le tematiche su cui si desidera impostare il cammino della Chiesa di Pavia?
“Aiutare a far crescere nelle nostre comunità il senso e il valore di un discernimento praticato insieme, discernimento è una parola che Papa Francesco ci ha consegnato anche dalla sua tradizione legata a Sant’Ignazio di Loyola. Il discernimento ha tante dimensioni, quella più spirituale legata al cammino del singolo soggetto e poi c’è un discernimento pastorale che riguarda le scelte della comunità nella quale ci mettiamo insieme in ascolto del Signore. Il discernimento si fa in preghiera e in ascolto della sua Parola perché è lui la fonte della Sapienza, ma si esercita anche in ascolto della realtà perché pure attraverso quella il Signore ci parla. Con questo percorso di ripensamento dobbiamo imparare a praticare il discernimento nella nostra Chiesa e nelle nostre comunità. Un secondo snodo è il fatto di maturare di più una mentalità in cui la cura della fede e della Chiesa non è demandata semplicemente a vescovi e presbiteri e consacrati od a qualche uomo di buona volontà: più corretto sarebbe che ogni cristiano che sta vivendo il suo battesimo scopra la bellezza di essere discepolo del Signore e di vivere in una comunità; ogni fedele dovrebbe sentirsi appassionato non solo nel portare avanti iniziative nelle comunità ma anche nell’avere cura della vita e della trasmissione della fede. Un cristiano che vive la sua fede dovrebbe avere a cuore il cammino che fanno i più piccoli con i loro catechisti anche se non è catechista, tanto per fare un esempio. Io vedrei intorno ai consacrati delle figure di laici che non operano in una logica di potere ma di servizio, per condividere più pienamente una responsabilità che possa essere di aiuto. Penso, per esempio, a quelle chiese di campagna aperte raramente: sarebbe bello che ci fosse qualche figura di laico che fa sì che durante la settimana queste piccole chiese possano essere aperte in alcuni momenti del giorno e che siano custodite, oppure penso ad un laico che cura un momento di preghiera senza che ci sia il presbitero… Maturare questo senso richiede a chi è pastore di avere uno sguardo di coordinamento che non dirige ma presiede e che vede e valorizza le qualità e i carismi dei suoi fedeli”.
Quale ruolo delle parrocchie e degli oratori oggi? Dopo il “boom” del Grest, si corre il rischio che si svuotino? Quale ruolo anche per laici e famiglie?
“Credo che dobbiamo leggere come un segno positivo il fatto che ci sia stata una grande partecipazione al Grest, tanto che alcune parrocchie non sono riuscite ad accogliere tutti. Ho visitato alcuni campi estivi e ho notato come, oltre alla risposta bella dei numeri, ci sia stata una bella risposta anche da parte degli animatori adolescenti che hanno dimostrato tanta voglia di mettersi in gioco; questa è una ricchezza che ci dice di come molte famiglie diano ancora fiducia ai nostri ambienti scegliendo il Grest della parrocchia non solo perché ‘costa di meno’ ma perché vi colgono una proposta più completa. Ma se, per definizione, il Grest è limitato nel tempo, come dare una continuità a tanto bene durante l’anno? Il tema è quindi quello dell’accompagnare gli adolescenti offrendo loro un percorso annuale che diventi una proposta esplicita di cammino di fede con diversi livelli di risposta, compresa la proposta eucaristica e la partecipazione alla Messa. Penso sia anche importante che gli oratori diventino luoghi abitati dalle famiglie, che vengano percepiti maggiormente come una casa della comunità. Mi pare interessante, a questo proposito, il lavoro fatto dal Servizio per la Pastorale Giovanile e l’Oratorio che ha raccolto una serie di riflessioni sull’oratorio attraverso un questionario arrivato in tutte le parrocchie. Così ci siamo chiesti quale volto ha l’oratorio e quali sono le sue ricchezze e i suoi limiti per provare ad immaginare un nuovo oratorio e un progetto educativo innovativo. Questo lavoro continuerà e si pensa anche ad una sorta di ‘assemblea degli oratori’ che fornirà indicazioni di cammino e linee educative nuove. Rimane poi sempre determinante il soggetto che abita all’oratorio, che è uno spazio che ha necessità di concrete risorse della comunità; penso a quelle piccole realtà di campagna dove l’invecchiamento è forte e l’oratorio diventa uno spazio per gli anziani che si ritrovano. Certo, questo non è lo scopo dell’oratorio ma dobbiamo continuare ad essere un punto di riferimento sul territorio. Ci sono poi oratori più grandi che davvero diventano punti di coagulo spesso anche quotidiano per tanti ragazzi: l’oratorio ha questo aspetto, cioè essere di bassa soglia ed è un luogo aperto ma è importante, oltre al bar e al campetto per giocare, poter avere la presenza di adulti che avanzino proposte di formazione sia per i ragazzi che per le famiglie. Mi piace immaginare che l’oratorio sia un po’ un cantiere aperto”.
(Intervista pubblicata sul settimanale diocesano “il Ticino” di venerdì 28 luglio)