L’editoriale del Vescovo, mons. Corrado Sanguineti, pubblicato sul settimanale diocesano “il Ticino” di venerdì 18 settembre e dedicato al nuovo Anno Pastorale, il cui inizio è fissato per la serata di giovedì 24 settembre in Cattedrale a partire dalle ore 21.
I giorni di settembre sono, ogni anno, il tempo della ripresa delle attività lavorative, della scuola e dell’università, della vita delle comunità cristiane: quest’anno la “ripartenza” si carica di una particolare forza e insieme di una strana debolezza.
La forza sta proprio nell’esperienza del nuovo inizio soprattutto delle scuole, dopo tanti mesi di didattica a distanza, dell’università, con la ripresa graduale delle lezioni in presenza, e anche della vita delle parrocchie, con la riapertura progressiva degli oratori, con la fatica di ripensare e di attuare il cammino del catechismo, con la possibilità di riprendere momenti d’incontro per ragazzi, giovani e adulti. Pur con tutte le precauzioni e le misure di sicurezza sanitaria richieste, si avverte una voglia di “ricominciare”, certo non ingenua e irresponsabile, accompagnata dal giusto desiderio di non dimenticare l’esperienza dei mesi passati – tenendo conto che non siamo ancora usciti dalla pandemia in atto nel mondo – e di non disperdere la ricchezza del vissuto, con le sue domande, le sue provocazioni a ripensare che mondo vogliamo costruire e trasmettere a chi verrà dopo di noi.
Se è irragionevole e miope l’atteggiamento di chi vuole semplicemente tornare alla “normalità”, mettendo come tra parentesi l’inattesa e impensabile esperienza del Covid-19, è altrettanto di corto respiro assumere un atteggiamento di timore generalizzato di fronte alla sfida del Coronavirus, e alimentare un senso di paura, d’insicurezza, un clima di sfiducia e di ansia che rischia di paralizzare e di chiudere le persone nel proprio ristretto orizzonte.
In questi giorni, in cui tornano ad animarsi le nostre scuole – che bello rivedere i bambini e i ragazzi nelle strade e gli edifici scolastici di nuovo pieni di voci e di volti! – tornano alla mente le parole di un pensiero davvero illuminante del grande scrittore Cesare Pavese: «L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità –, si vorrebbe morire» (da “Il mestiere di vivere”). Sarebbe terribile per una società, per le famiglie, per le giovani generazioni, per tutti, dai bambini agli anziani, se il dover fare i conti con questa situazione sanitaria, imparando a convivere, almeno per un po’ di tempo, con l’ospite indesiderato che è il Covid-19, togliesse la voglia e il gusto di vivere, di rialzarci ogni mattina, di sognare e desiderare in grande, di cominciare sempre, ogni istante, ogni giorno!
D’altra parte, questo inizio di anno sociale è segnato da un senso d’incertezza, da interrogativi aperti, da ferite ancora vive in chi ha più sofferto, dalle difficoltà crescenti a livello lavorativo ed economico. Occorre leggere la “crisi”, che stiamo affrontando a tanti livelli, non solo come un fenomeno negativo, ma anche come un’opportunità per ripensare stili e modelli di vita e d’economia, per sviluppare un’attenzione condivisa verso i soggetti più fragili, che rischiano di moltiplicarsi e di restare ancora più indietro, per interrogarci su una nuova relazione tra gli uomini e con l’ambiente, prestando ascolto al grido della terra, deturpata e sfruttata, e dei poveri che pagano di più il prezzo di scelte ingiuste e dissennate. La stessa pandemia, come ripete spesso Papa Francesco, rende ancora più drammatiche ed evidenti le disparità di cui soffrono i popoli, le società e le diverse classi sociali.
Le domande che interessano tutti
Da dove ripartire? Come ripartire? Sono domande che interessano tutti e che ovviamente dovrebbero coinvolgere “in primis” attori e protagonisti della vita sociale, culturale, politica, chiedendo scelte chiare, attente al bene comune, inteso come il bene autentico di tutti e di ciascuno.
Anche come Chiesa di Pavia, ci sentiamo interpellati da questo passaggio cruciale per il nostro futuro e siamo chiamati a leggere i segni di questo tempo, riconoscendo tutto il bene testimoniato da uomini e donne, tra cui molti giovani, nell’affrontare l’emergenza sanitaria e sociale di questi mesi, le esperienze belle di preghiera nel tessuto di non poche famiglie e persone, il desiderio e la voglia di “comunità” e d’incontro avvertiti con più forza dopo il tempo lungo del “lockdown”.
Nello stesso tempo, non vogliamo nasconderci le fatiche presenti nelle nostre parrocchie, in città e nei paesi, nella ripresa della vita liturgica, con assenze rilevanti di famiglie, bambini e giovani nelle messe, nell’immaginare e realizzare momenti di catechesi, di formazione, d’ascolto della Parola, tornando ad abitare e a rendere vivi i nostri oratori, nell’entrare in rapporto con le persone, con il loro vissuto talvolta molto distante dalla fede, con le loro domande che possono risultare “scomode” e provocanti e che tuttavia esprimono la reale esperienza di giovani e adulti del nostro tempo, delle nostre città e paesi.
Per questo motivo, come cristiani che camminano in questa terra, sentiamo forti due domande fondamentali, che aprono un tempo di riflessione per ogni comunità: che cosa ci sta dicendo il Signore attraverso l’esperienza di questi mesi? quali domande nascono per il nostro cammino di Chiesa di oggi e di domani?
La lettera pastorale
La lettera pastorale che consegnerò la sera di giovedì 24 settembre ai rappresentanti delle comunità parrocchiali e religiose, dei movimenti e associazioni ecclesiali, e in certo modo a tutta la Chiesa pavese, vuole essere uno strumento per sollecitare e accompagnare questo tempo di discernimento e di scelte, che coinvolge il tessuto delle comunità cristiane e l’intera società di cui ci sentiamo parte.
La stessa lettera è il frutto di una prima riflessione maturata e condivisa tra i sacerdoti della Diocesi, e che ora deve proseguire e allargarsi a diversi soggetti della vita ecclesiale, nel desiderio di aprire un confronto e un dialogo con uomini e donne di differente ispirazione ideale, soprattutto impegnati nel campo dell’attività sociale, economica e culturale.
Come Chiesa che vuole essere testimone originale della speranza che nasce sempre di nuovo dal Vangelo, vogliamo ripartire da una certezza positiva: che anche questo è tempo di Dio, è tempo che nasconde dentro di sé una grazia, e che anche in questo tempo non siamo lasciati a noi stessi.
C’è Cristo, il Vivente, che ci raggiunge e ci viene incontro, come alla fine di una notte di tempesta sul lago aveva raggiunto, camminando sulle acque agitate, la barca dei suoi discepoli impauriti. Oggi come allora, se abbiamo gli occhi aperti e il cuore teso a cogliere, nella realtà, i segni di una Presenza all’opera, attraverso la libertà degli uomini, potremo ascoltare le parole di Gesù che ci rassicura e rinnova l’energia della speranza: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mt 14,27). Da qui possiamo ripartire in questo inizio d’anno così unico e singolare.