Carissimi fratelli e sorelle,
in questo giorno, il lunedì dopo la festa di Pentecoste, la Chiesa e la città di Pavia venerano le Sante Spine, custodite qui nella nostra Cattedrale, con la preghiera e con il gesto della processione per le vie del centro. Che significato può avere, oggi, nel 2018 venerare le Sante Spine? Non tutti i pavesi ormai conoscono la storia di queste reliquie soprattutto tra i più giovani, e mi permetto di richiamare, solo per cenni, da dove nasce questa festa: secondo la tradizione, la Corona di Spine, ritrovata sul Calvario a Gerusalemme da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, fu prima conservata nella Città Santa e poi portata a Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente; da qui, le Sante Spine giunsero in Europa, e in occasioni diverse, tre Spine furono donate ai Visconti, signori di Pavia, i quali le custodirono nella cappella del loro castello. In seguito, dal 1499, furono affidate alla città e al Capitolo della Cattedrale; nel 1527, durante l’orribile sacco di Pavia, a opera dei francesi, un soldato le trafugò e, fuggito a Loreto, le lasciò al Santuario. Nel 1545 i pavesi vennero a scoprire che a Loreto si trovavano le preziose Spine e le riportarono trionfalmente in città: così nacque processione delle Sante Spine, che da allora, sono conservate nel nostro Duomo, come tesoro dell’intera comunità, ecclesiale e civile. Ora, venerare queste preziose reliquie attraverso la Festa che ogni anno si rinnova, non è semplicemente conservare una bella tradizione, ma è occasione per comprendere, sempre di nuovo, il messaggio racchiuso in questo segno, che ci rimanda a Cristo nell’ora della sua passione. Secondo la testimonianza evangelica, Gesù è stato flagellato senza pietà – sul corpo dell’Uomo della Sindone si contano centinaia di colpi del terribile “flagrum”, il flagello romano che portava nelle fruste piccoli piombi o pezzi di ossa che ferivano a sangue il corpo del condannato – ed è vittima di un gioco crudele e umiliante da parte dei soldati romani: «Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: “Salve, re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi» (Gv 19,1-3). Gesù, coronato di spine e deriso dai suoi aguzzini, ci porta a pensare quante volte, nella storia, si sia ripetuta una scena simile: quanti uomini e donne innocenti sono stati fatti oggetto di violenza gratuita e disumana, quante vittime d’ingiustizie, di maltrattamenti, di torture, di umiliazioni profonde della dignità umana! E questa non è, purtroppo, solo storia di ieri, perché accanto alle sofferenze immense e spaventose subite da milioni di persone sotto le dittature totalitarie del Novecento, nei lager nazisti, nei gulag sovietici, nei campi di lavoro e di rieducazione in Cina, in Cambogia, nel Vietnam, accanto ai “desaparecidos” dei regimi dell’America Latina, ai poveri campesinos del Centro America e ai tanti che hanno trovato la morte, nella difesa dei diritti dei più poveri – un nome per tutti: il vescovo Oscar Arnulfo Romero, che sarà proclamato santo, insieme a Papa Paolo VI il prossimo ottobre -, continuano a esserci folle di nostri fratelli e sorelle immersi nella miseria, scarti di quella che Papa Francesco chiama “inequità”, frutto di un’economia e di una finanza tese solo al profitto; continuano a esserci uomini e donne discriminati e perseguitati per la loro religione, soprattutto cristiani, e cresce il numero delle vittime della follia terroristica; continuano a esserci profughi che fuggono dalla fame, dalla guerra, dalle persecuzioni e che cadono nelle mani di trafficanti senza scrupolo, o finiscono ammassati in strutture, fatti oggetto di soprusi, di violenze, di torture, in attesa di un futuro incerto, nell’indifferenza colpevole di troppi potenti! Venerare le Spine di Cristo è fare memoria di tutte le “spine” conficcate nella carne dell’umanità che soffre, è sentirci chiamati a non dimenticare questi fratelli, a non chiuderci nel nostro piccolo e comodo orizzonte, a chinarci su coloro che incontriamo e che, vicino a noi, vivono drammi, più o meno nascosti. Qui c’è una provocazione per la nostra Chiesa e per la nostra città, per tutti, credenti e non credenti, se vogliamo che la nostra vita personale e sociale non perda la ricchezza di un umanesimo cristiano, che ha dato volto e bellezza a Pavia: è un umanesimo che trova corrispondenza ed eco nel cuore di ognuno, intessuto di esigenze ed evidenze che ci accomunano, è la garanzia di un futuro che non cancelli l’umano, che non perda il senso di stupore e di rispetto di fronte all’uomo, a ogni uomo! Se apriamo gli occhi e il cuore, possiamo imparare la gratuità come dimensione della vita, attraverso gesti di servizio e di aiuto, attraverso il dono di un po’ del nostro tempo per condividere le fatiche e le sofferenze di famiglie in povertà, di anziani soli, che nessuno va a trovare, nelle loro case o nelle strutture di accoglienza, di persone senza fissa dimora, spesso segnate da ferite laceranti nella loro vita, di adolescenti annoiati, che magari cercano di riempire il vuoto del cuore con il ricorso all’alcool, alle droghe, a una sessualità disordinata e triste, di giovani in cerca del lavoro, che rischiano di rassegnarsi e di restare ai margini della società, di stranieri, migranti e profughi, che hanno alle spalle storie d’indicibile sofferenza. Rivolgo perciò un appello e un invito forte, in particolare ai giovani che abitano la nostra città, ai tanti universitari che sono una ricchezza di Pavia, perché si rendano disponibili a coinvolgersi in gesti concreti di carità, di servizio, di volontariato, nella comunità cristiana o in altri ambiti di diversa ispirazione. Vi sono tante realtà che propongono e promuovono esperienze concrete, a contatto con i mondi dell’emarginazione di oggi, e per voi, carissimi giovani, sono una grande possibilità di crescita e di maturazione umana e cristiana. Non chiudetevi nel vostro mondo, lasciatevi toccare e inquietare da chi, accanto a voi, porta in sé le “spine” della solitudine, della mancanza di prospettive, delle differenti povertà, materiali e spirituali che oscurano l’esistenza. Fratelli e sorelle, la radice di questo sguardo pieno di rispetto e di affezione a ogni persona che incontriamo, soprattutto a chi è segnato da povertà, dolore, ingiustizia, affonda nella terra buona della fede cristiana: noi, infatti, veneriamo le Sante Spine, perché hanno incoronato il capo di un uomo che non è solo uno dei tanti innocenti, vittime del potere e di una condanna ingiusta, ma, agli occhi della fede, è il Figlio del Dio vivente, la presenza del Dio con noi, reso volto umano per noi. Le Spine che custodiamo con amore sono “Sante” perché sono le spine di Cristo, vero Dio e vero uomo, sono il segno della passione d’amore che Gesù, Figlio del Padre, ha vissuto, fino alla fine. Davvero è qualcosa d’immenso e di sconvolgente l’amore di Cristo, fedele al Padre nella sua dedizione totale agli uomini! Nella sua sofferenza vissuta in pieno affidamento a Dio, Gesù si è caricato dei nostri dolori e delle nostre iniquità, e nell’abbandono confidente e nell’umiliazione accolta, ha lavato le nostre colpe, ha espiato i nostri peccati, ha aperto la via al perdono, alla risurrezione, alla vita che non ha fine! Proprio la fede nel Signore, che ha patito ed è morto per noi, la fede nel Figlio di Dio «che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20), per me e per te, è la sorgente inesauribile di un amore vivo all’uomo, un amore che si lascia ferire dalle sofferenze del fratello e che si “sporca le mani” nella condivisione, nel servizio. Rimangono sempre vere queste parole di San Giovanni Paolo II, appassionato servitore di Cristo e dell’uomo: «È necessario che lo sguardo si volga “all’artefice della nostra salvezza” per generare una civiltà che nasca dalla verità e dall’amore. La civiltà dell’amore! Per non agonizzare, per non spegnersi nell’egoismo sfrenato, nell’insensibilità cieca al dolore degli altri». Ecco, perché celebriamo la festa delle Sante Spine, e le portiamo in processione per le vie della nostra amata città! Ecco perché è bene raccontare ai nostri figli, ai bambini, e far conoscere agli adolescenti e ai giovani, nelle nostre comunità e famiglie, nelle nostre scuole, la storia delle Sante Spine, per custodire questo segno bello che ci accompagna da secoli, per non smarrire il volto cristiano di Pavia, per non perdere le radici buone e feconde del nostro essere comunità. Amen!
in questo giorno, il lunedì dopo la festa di Pentecoste, la Chiesa e la città di Pavia venerano le Sante Spine, custodite qui nella nostra Cattedrale, con la preghiera e con il gesto della processione per le vie del centro. Che significato può avere, oggi, nel 2018 venerare le Sante Spine? Non tutti i pavesi ormai conoscono la storia di queste reliquie soprattutto tra i più giovani, e mi permetto di richiamare, solo per cenni, da dove nasce questa festa: secondo la tradizione, la Corona di Spine, ritrovata sul Calvario a Gerusalemme da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, fu prima conservata nella Città Santa e poi portata a Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente; da qui, le Sante Spine giunsero in Europa, e in occasioni diverse, tre Spine furono donate ai Visconti, signori di Pavia, i quali le custodirono nella cappella del loro castello. In seguito, dal 1499, furono affidate alla città e al Capitolo della Cattedrale; nel 1527, durante l’orribile sacco di Pavia, a opera dei francesi, un soldato le trafugò e, fuggito a Loreto, le lasciò al Santuario. Nel 1545 i pavesi vennero a scoprire che a Loreto si trovavano le preziose Spine e le riportarono trionfalmente in città: così nacque processione delle Sante Spine, che da allora, sono conservate nel nostro Duomo, come tesoro dell’intera comunità, ecclesiale e civile. Ora, venerare queste preziose reliquie attraverso la Festa che ogni anno si rinnova, non è semplicemente conservare una bella tradizione, ma è occasione per comprendere, sempre di nuovo, il messaggio racchiuso in questo segno, che ci rimanda a Cristo nell’ora della sua passione. Secondo la testimonianza evangelica, Gesù è stato flagellato senza pietà – sul corpo dell’Uomo della Sindone si contano centinaia di colpi del terribile “flagrum”, il flagello romano che portava nelle fruste piccoli piombi o pezzi di ossa che ferivano a sangue il corpo del condannato – ed è vittima di un gioco crudele e umiliante da parte dei soldati romani: «Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: “Salve, re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi» (Gv 19,1-3). Gesù, coronato di spine e deriso dai suoi aguzzini, ci porta a pensare quante volte, nella storia, si sia ripetuta una scena simile: quanti uomini e donne innocenti sono stati fatti oggetto di violenza gratuita e disumana, quante vittime d’ingiustizie, di maltrattamenti, di torture, di umiliazioni profonde della dignità umana! E questa non è, purtroppo, solo storia di ieri, perché accanto alle sofferenze immense e spaventose subite da milioni di persone sotto le dittature totalitarie del Novecento, nei lager nazisti, nei gulag sovietici, nei campi di lavoro e di rieducazione in Cina, in Cambogia, nel Vietnam, accanto ai “desaparecidos” dei regimi dell’America Latina, ai poveri campesinos del Centro America e ai tanti che hanno trovato la morte, nella difesa dei diritti dei più poveri – un nome per tutti: il vescovo Oscar Arnulfo Romero, che sarà proclamato santo, insieme a Papa Paolo VI il prossimo ottobre -, continuano a esserci folle di nostri fratelli e sorelle immersi nella miseria, scarti di quella che Papa Francesco chiama “inequità”, frutto di un’economia e di una finanza tese solo al profitto; continuano a esserci uomini e donne discriminati e perseguitati per la loro religione, soprattutto cristiani, e cresce il numero delle vittime della follia terroristica; continuano a esserci profughi che fuggono dalla fame, dalla guerra, dalle persecuzioni e che cadono nelle mani di trafficanti senza scrupolo, o finiscono ammassati in strutture, fatti oggetto di soprusi, di violenze, di torture, in attesa di un futuro incerto, nell’indifferenza colpevole di troppi potenti! Venerare le Spine di Cristo è fare memoria di tutte le “spine” conficcate nella carne dell’umanità che soffre, è sentirci chiamati a non dimenticare questi fratelli, a non chiuderci nel nostro piccolo e comodo orizzonte, a chinarci su coloro che incontriamo e che, vicino a noi, vivono drammi, più o meno nascosti. Qui c’è una provocazione per la nostra Chiesa e per la nostra città, per tutti, credenti e non credenti, se vogliamo che la nostra vita personale e sociale non perda la ricchezza di un umanesimo cristiano, che ha dato volto e bellezza a Pavia: è un umanesimo che trova corrispondenza ed eco nel cuore di ognuno, intessuto di esigenze ed evidenze che ci accomunano, è la garanzia di un futuro che non cancelli l’umano, che non perda il senso di stupore e di rispetto di fronte all’uomo, a ogni uomo! Se apriamo gli occhi e il cuore, possiamo imparare la gratuità come dimensione della vita, attraverso gesti di servizio e di aiuto, attraverso il dono di un po’ del nostro tempo per condividere le fatiche e le sofferenze di famiglie in povertà, di anziani soli, che nessuno va a trovare, nelle loro case o nelle strutture di accoglienza, di persone senza fissa dimora, spesso segnate da ferite laceranti nella loro vita, di adolescenti annoiati, che magari cercano di riempire il vuoto del cuore con il ricorso all’alcool, alle droghe, a una sessualità disordinata e triste, di giovani in cerca del lavoro, che rischiano di rassegnarsi e di restare ai margini della società, di stranieri, migranti e profughi, che hanno alle spalle storie d’indicibile sofferenza. Rivolgo perciò un appello e un invito forte, in particolare ai giovani che abitano la nostra città, ai tanti universitari che sono una ricchezza di Pavia, perché si rendano disponibili a coinvolgersi in gesti concreti di carità, di servizio, di volontariato, nella comunità cristiana o in altri ambiti di diversa ispirazione. Vi sono tante realtà che propongono e promuovono esperienze concrete, a contatto con i mondi dell’emarginazione di oggi, e per voi, carissimi giovani, sono una grande possibilità di crescita e di maturazione umana e cristiana. Non chiudetevi nel vostro mondo, lasciatevi toccare e inquietare da chi, accanto a voi, porta in sé le “spine” della solitudine, della mancanza di prospettive, delle differenti povertà, materiali e spirituali che oscurano l’esistenza. Fratelli e sorelle, la radice di questo sguardo pieno di rispetto e di affezione a ogni persona che incontriamo, soprattutto a chi è segnato da povertà, dolore, ingiustizia, affonda nella terra buona della fede cristiana: noi, infatti, veneriamo le Sante Spine, perché hanno incoronato il capo di un uomo che non è solo uno dei tanti innocenti, vittime del potere e di una condanna ingiusta, ma, agli occhi della fede, è il Figlio del Dio vivente, la presenza del Dio con noi, reso volto umano per noi. Le Spine che custodiamo con amore sono “Sante” perché sono le spine di Cristo, vero Dio e vero uomo, sono il segno della passione d’amore che Gesù, Figlio del Padre, ha vissuto, fino alla fine. Davvero è qualcosa d’immenso e di sconvolgente l’amore di Cristo, fedele al Padre nella sua dedizione totale agli uomini! Nella sua sofferenza vissuta in pieno affidamento a Dio, Gesù si è caricato dei nostri dolori e delle nostre iniquità, e nell’abbandono confidente e nell’umiliazione accolta, ha lavato le nostre colpe, ha espiato i nostri peccati, ha aperto la via al perdono, alla risurrezione, alla vita che non ha fine! Proprio la fede nel Signore, che ha patito ed è morto per noi, la fede nel Figlio di Dio «che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20), per me e per te, è la sorgente inesauribile di un amore vivo all’uomo, un amore che si lascia ferire dalle sofferenze del fratello e che si “sporca le mani” nella condivisione, nel servizio. Rimangono sempre vere queste parole di San Giovanni Paolo II, appassionato servitore di Cristo e dell’uomo: «È necessario che lo sguardo si volga “all’artefice della nostra salvezza” per generare una civiltà che nasca dalla verità e dall’amore. La civiltà dell’amore! Per non agonizzare, per non spegnersi nell’egoismo sfrenato, nell’insensibilità cieca al dolore degli altri». Ecco, perché celebriamo la festa delle Sante Spine, e le portiamo in processione per le vie della nostra amata città! Ecco perché è bene raccontare ai nostri figli, ai bambini, e far conoscere agli adolescenti e ai giovani, nelle nostre comunità e famiglie, nelle nostre scuole, la storia delle Sante Spine, per custodire questo segno bello che ci accompagna da secoli, per non smarrire il volto cristiano di Pavia, per non perdere le radici buone e feconde del nostro essere comunità. Amen!
+ Mons. Corrado Sanguineti
(Vescovo di Pavia)