Come vescovo e come cittadino italiano, rilevo tre grandi pericoli, insiti nella Legge e nella sua futura applicazione, pericoli che ledono beni fondamentali della persona e di una società che sappia davvero rispettare la dignità dell’uomo.
1) Il pericolo di introdurre nel nostro ordinamento legislativo la possibilità di forme d’eutanasia, soprattutto omissiva, che potrebbero essere configurate come volontà precedentemente espresse nelle DAT: viene meno il principio dell’indisponibilità della vita, in nome di un’assoluta autodeterminazione dell’individuo, e risulta oscurato il criterio del “favor vitae”.
2) Il pericolo, molto reale, di trasformare il medico in un mero esecutore di disposizioni altrui, minando quell’alleanza terapeutica, che è il luogo primo in cui operare, con coscienza e competenza, il giusto e corretto discernimento tra eutanasia/abbandono terapeutico, mai giustificato, e accanimento terapeutico altrettanto inaccettabile. Si profila, inoltre, un attentato alla libertà di coscienza del medico stesso, poiché nel testo della Legge, non si fa accenno chiaro alla possibilità dell’obiezione di coscienza, da parte degli operatori sanitari.
3) Il pericolo di favorire una mentalità individualista, dove chi è in condizioni di malattia, allo stadio terminale, o di gravi menomazioni, in nome della pretesa assenza di una “qualità della vita” e in nome di una volontà manifestata, quando la persona era sana e padrona di sé, sia sostanzialmente lasciato solo, con l’interruzione eventuale anche dell’idratazione e dell’alimentazione artificiali, classificate nel testo di Legge, sempre alla stregua di terapie che possono essere sospese.
Purtroppo una legge dello Stato tende a creare una mentalità, com’è accaduto per le leggi sul divorzio e sull’aborto, e temo che questa legge, se non sarà modificata nella prossima legislatura, favorirà la penetrazione di una mentalità eutanasica, ben nascosta e camuffata sotto l’idea, in sé condivisibile, del rifiuto dell’accanimento terapeutico, e di un’immagine di libertà per la quale spetta al soggetto di scegliere, in modo assoluto, a quali trattamenti medici essere sottoposto. Infine, l’approvazione di questa Legge, anche con il voto di parlamentari cattolici, suscita qualche interrogativo che non dobbiamo avere paura di considerare.
E’ mancato un linguaggio unico e chiaro dei cattolici impegnati in politica
Una prima domanda riguarda la presenza dei cattolici impegnati in ambito politico: com’è possibile che in un ambito così rilevante, sotto il profilo morale i cattolici presenti in Parlamento, in differenti schieramenti politici, non siano stati capaci di un linguaggio unico e chiaro, e di un’azione condivisa per migliorare la Legge? Sarebbe stato necessario evitare l’approvazione del testo attuale che apre obiettivamente a pratiche di eutanasia, più o meno mascherata, e rischia di affidare ai tribunali eventuali contenziosi tra medici curanti e pazienti. Una seconda domanda riguarda la Chiesa che è in Italia e noi Vescovi: forse, in questi mesi, in queste ultime settimane, è mancato il coraggio di un giudizio più esplicito e circostanziato sui contenuti di questa legge, che hanno una rilevanza morale, e toccano beni essenziali della persona. Nella giusta condanna dell’accanimento terapeutico, forse rischiamo di non trasmettere un messaggio altrettanto chiaro circa il rifiuto di ogni forma d’eutanasia, e circa l’importanza decisiva di salvaguardare l’alleanza terapeutica medico-paziente e di assicurare un vero accompagnamento a chi si avvicina al morire. Anche in questo campo così delicato della vicinanza a chi è in condizioni di forte fragilità e a chi è in stato terminale, come comunità cristiana, siamo chiamati vivere le tre dimensioni che ho voluto ricordare nella festa di San Siro, nostro patrono: la missione, la carità e la cultura. La missione è testimoniare e annunciare, con più passione, lo sguardo nuovo, che nasce dalla Pasqua di Gesù, al mistero dell’umano soffrire e morire: in fondo, l’uomo che vive l’esperienza di una malattia invalidante o che s’incammina verso la fine di questa esistenza terrena, chiede di non essere lasciato solo, di essere sostenuto da una rete di buone relazioni, ma chiede anche di scoprire il senso della sua sofferenza, e di ritrovare le ragioni profonde di una speranza che va oltre il termine di questa vita. Qui solo Cristo ha parole di vita eterna, e in lui la luce della Rivelazione illumina il nostro destino eterno e la misteriosa fecondità del dolore, vissuto in unione con il Signore crocifisso e risorto.
La carità si fa vicina a chi soffre
La carità in mille forme si fa vicina a chi soffre, alle famiglie che curano con ammirevole passione i loro cari in condizioni di grave disabilità, a chi sente avvicinarsi l’ora della morte e chiede, anche senza dire nulla, una presenza amica e una parola di speranza: questa è la testimonianza che possiamo offrire, nelle case, nelle corsie degli ospedali, nelle residenze per anziani o per persone non autosufficienti, nelle tante opere generate dal cuore di santi e di testimoni dell’amore di Cristo. La cultura, come concezione della vita, trova una forma nuova nella fede cristiana, e nasce così una visione alta dell’uomo, della sua dignità e del suo destino, che racchiude tratti di profonda umanità, condivisibili anche da chi non ha il dono della fede: i laici cristiani, nei vari ambiti della vita sociale, sono chiamati a promuovere la verità piena sull’uomo, sul mistero e sul dono dell’esistenza, e in una società democratica hanno il diritto e il dovere, anche nell’ambito strettamente politico e parlamentare, di sostenere leggi che rispettino i valori essenziali di una convivenza a misura d’uomo, portando il contributo dei loro argomenti, delle loro proposte, in un dialogo e in confronto leale e aperto con altre espressioni di pensiero. In definitiva, in qualunque circostanza storica, quali che siano le leggi di uno Stato, possiamo, come cristiani, farci vicini a chi soffre, impegnarci per un approccio sempre più umanizzante della cura sanitaria, e offrire, con umiltà e letizia, il dono di una speranza affidabile e di un significato positivo che abbraccia anche la sofferenza e la morte, inevitabili compagne del cammino di ogni uomo.
+ Mons. Corrado Sanguineti (Vescovo di Pavia)