Carissimi Religiosi e Religiose e voi tutte consacrate,
Carissimi fratelli e sorelle,
Il nostro convenire qui stasera, nella nostra amata Cattedrale, segna idealmente l’apertura di un nuovo anno pastorale, di un nuovo tratto di cammino per la Chiesa in Pavia: sappiamo bene che la ripresa delle attività quotidiane, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità, può essere qualcosa di meccanico e di scontato, oppure può essere un’occasione per ridestare la nostra libertà e il nostro, cuore, e provare a riscoprire che cosa ci permette di amare il quotidiano, spesso apparentemente ripetitivo e banale, che cosa è in grado di renderci vivi e appassionati, in quello che facciamo, come singoli, come famiglie, come comunità cristiana. Da questo punto di vista, anche l’apertura dell’Anno pastorale può ridursi a un ‘rito’ formale e stantio, oppure essere la possibilità di un inizio più cosciente e più convinto .
Vorrei innanzitutto, rendere grazie con voi al Signore per tutto il bene che egli fa maturare e crescere nelle nostre comunità e nelle nostre famiglie, mentre invochiamo la sua grazia e la sua misericordia, come balsamo per le nostre ferite, per le nostre mancanze e lentezze, per i nostri peccati e le nostre omissioni. Siamo ancora nel clima dell’Anno della Misericordia e vogliamo vivere questi mesi, da qui a novembre, segnati dalla celebrazione degli ultimi Giubilei diocesani, accogliendo il dono inesauribile della misericordia del Padre, che sgorga dal suo Figlio crocifisso e risorto, presente qui e ora nella sua Chiesa, in noi, popolo santo di Dio, convocato dallo Spirito.
I mesi che stanno dietro di noi sono stati caratterizzati da eventi importanti per la nostra Diocesi e per la Chiesa tutta: la nomina di un nostro stimato e amato presbitero, Don Andrea Migliavacca, quale Vescovo della Chiesa di San Miniato in Toscana; la conclusione del servizio episcopale di Sua Ecc.za Mons. Giovanni Giudici, che ha guidato la nostra Diocesi per 12 anni – a lui vogliamo elevare in questo momento il nostro pensiero grato e affettuoso; l’arrivo di un nuovo Vescovo, nella mia persona, accolto lo scorso 24 gennaio in una festa di popolo – colgo questa occasione per rinnovare a tutti voi, ai membri e alle comunità della chiesa pavese il mio sincero ringraziamento per la cordiale e fraterna accoglienza che mi state manifestando, per i legami di fraternità e di amicizia, che stanno crescendo con i miei sacerdoti, i miei collaboratori e con tanti fedeli e famiglie della nostre parrocchie; e poi la celebrazione dell’Anno della Misericordia, aperto dal mio predecessore la domenica 13 dicembre 2015, e che ha visto tanti momenti belli qui nel nostro Duomo, con i Giubilei delle varie categorie, con i pellegrinaggi di Vicariati e di Parrocchie, con le varie iniziative che hanno trovato espressione nelle comunità, e con l’opera nascosta e feconda della grazia, in tanti cuori, nel silenzio della preghiera personale, nell’ascolto più intenso della Parola, e nella Riconciliazione vissuta nel Sacramento del perdono.
Sappiamo, carissimi amici, che ovviamente anche la nostra chiesa vive le sue fatiche e le sue stanchezze, che in molti battezzati la vita cristiana si riduce a un lumicino, e che viviamo immersi in un clima culturale certamente sempre più distante dalla fede e dalla visione cristiana della vita: ormai, nel sentire diffuso attraverso l’opera del media, c’è il rischio concreto di un “pensiero unico” che mette in dubbio anche le evidenze più radicali e fondamentali dell’umano, e che considera il cristianesimo al più come una tradizione culturale che ha fatto il suo tempo, ma che non può reggere la nuova visione dell’uomo, spesso ricondotta alle pretese evidenze della scienza, della biotecnologia, delle nuove frontiere della ricerca.
Inoltre, fenomeni drammatici che generano sofferenze profonde in tanti popoli – pensiamo alle numerose guerre in Africa e nel Medio Oriente, alle persecuzioni contro i cristiani, diffuse in varie forme, in molti luoghi, pensiamo al movimento inarrestabile dei profughi e dei migranti – toccano e coinvolgono anche noi, c’interpellano come comunità cristiana e chiedono alla nostra Chiesa, in anni di crescente impoverimento del nostro paese, una sempre maggiore capacità di accoglienza, di condivisione dei bisogni e delle forme di disagio e di povertà, che colpiscono il nostro territorio: anche se viviamo in una società largamente segnata dal benessere, ci sono non poche famiglie e persone che rischiano di essere sempre più indietro, sempre più a margini, e si può fare avanti quella «cultura dello scarto», spesso denunciata dal Papa, che ha le sue vittime nei soggetti socialmente deboli (i bambini non nati, i giovani senza prospettive di futuro e di lavoro, gli adulti che si ritrovano disoccupati in piena età lavorativa, gli anziani e i lungo-degenti, ben chiusi nelle loro case o nelle strutture di assistenza).
In questo orizzonte, che interessa le nostre comunità, non è un caso che nel novembre 2015, la Chiesa italiana abbia promosso e vissuto il 5° Convegno nazionale a Firenze sul tema: In Gesù Cristo il nuovo umanesimo, e, a partire dal grande discorso che Papa Francesco ha rivolto in quella circostanza, i lavori del Convegno hanno cercato di tracciare delle vie, per il nostro oggi, per vivere la ricchezza e la bellezza della fede cristiana, proprio come sorgente di un umanesimo veramente plenario, capace di restituire l’uomo alla piena verità di sé!
Ecco, nell’Anno pastorale che sta di fronte a noi, desidero, come Vescovo di questa Chiesa, alla quale mi sento ormai profondamente legato, che il nostro cammino abbia come riferimento la proposta di fondo che il Papa ha rivolto a Firenze e che il Convegno stesso ha iniziato a elaborare e a concretizzare, con le cinque vie, rappresentate da cinque verbi: uscire, annunciare, abitare educare, trasfigurare. Nei prossimi anni ci aiuteremo a comprendere che cosa sta dietro questi verbi – perché non rimangano degli slogan o delle parole vuote – ma il punto di partenza rimane ciò che Francesco ha disegnato nel suo intenso intervento al Convegno, e la sua forte provocazione a ripartire dall’essenziale della fede, dal suo centro vivo che è la persona e il volto di Gesù, e a rendere vita delle nostre comunità la sua esortazione Evangelii Gaudium, per una Chiesa innamorata del suo Signore, e desiderosa di uscire per condividere con tutti la gioia del Vangelo.
Per questo motivo, la lettera che intendo pubblicare nella prossima festa di San Siro, avrà come titolo: «Maestro dove dimori?» (Gv 1,38): incontrare Cristo oggi. L’icona evangelica che farà da sfondo è il racconto della chiamata dei primi discepoli nel vangelo di Giovanni (Gv 1,35-51), che abbiamo appena ascoltato e che racchiude l’inizio e la forma permanente dell’esperienza cristiana.
Questa sera, non intendo anticipare già i contenuti e gli orientamenti della Lettera pastorale, ma, muovendo dal passaggio iniziale del discorso del Papa a Firenze, vorrei evocare, davanti a voi, l’esperienza della fede, come l’accadere gratuito e sorprendente di un incontro, che ha dentro di sé un movimento di sguardi e di libertà, un lasciarsi guardare e un guardare una Presenza amica.
In effetti, se provate a ripercorrere il passo di Giovanni, che narra il primo incontro di Gesù con coloro che diventeranno suoi discepoli, è impressionante quanto ritorni il vocabolario del “vedere”:
(ben nove ricorrenze di verbi):
• Giovanni, il battezzatore, fissa lo sguardo (emblépô) su Gesù e lo indica con la parola;
• Gesù si volta, e osserva (theáomai) i due discepoli che lo stanno seguendo, e li invita a venire e a vedere (horáô);
• I due discepoli vanno e vedono (horáô) dove Gesù dimora e rimangono con lui;
• Gesù fissa lo sguardo (emblépô) su Simon Pietro, condotto dal fratello Andrea;
• Filippo, allo scettico Natanaele, rivolge il semplice invito:«Vieni e vedi» (horáô);
• Gesù vede (horáô) Natanaele venirgli incontro;
• Gesù risponde a Natanaele: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto (horáô) quando eri sotto l’albero di fichi»;
• alla confessione di fede di Natanaele, Gesù risponde: «Perché ti ho detto che ti avevo visto (horáô) sotto l’albero di fichi credi? Vedrai (horáô) cose maggiori di queste!»;
• infine, Gesù rivolge questa promessa a tutti: «In verità, in verità io vi dico: vedrete (horáô) il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».
Il cammino della fede per tutti noi è un cammino dello sguardo, dove, da una parte scopriamo lo sguardo di una Presenza che desta un’attrattiva e porta in sé un mistero, dall’altra parte noi stessi, rivolgiamo lo sguardo a questa Presenza amata: la guardiamo e ci lasciamo guardare, e in questo incontro di sguardi, scopriamo il suo volto e il nostro volto, nel volto di Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, troviamo il nostro volto, la verità e lo stupore del nostro essere uomini!
Così affermava Papa Francesco all’inizio del suo discorso a Firenze: «Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiae vultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: “Voi, chi dite che io sia?” (Mt 16,15)».
In fondo, se proviamo a ripensare al nostro cammino di fede, possiamo rinvenire un’esperienza simile, quella di entrare in contatto con una Presenza, che ha un nome e ha un volto inconfondibili, Gesù di Nazaret, e di avvertire su di noi uno sguardo pieno di tenerezza e di passione, uno sguardo che ci ridesta, che ci attrae, e che cambia la direzione del nostro sguardo: mentre talvolta viviamo ripiegati su noi stessi e sui nostri problemi, appesantiti dalla vita, iniziamo a volgere i nostri occhi e il nostro cuore a questa Presenza, a Gesù Signore, percepito e riconosciuto vivo nella fede, e, nel tempo, ci troviamo diversi, accesi da una Presenza, e iniziamo a guardare tutto, avendo negli occhi il volto amante e amato di Cristo!
Mi colpisce come questa esperienza è presente nella vita dei Santi, in vario modo, e come qui si definisca il cuore semplice e profondo della vita cristiana: se facciamo tante cose, anche belle e utili, ma non accade un’esperienza simile, perdiamo il meglio, perdiamo l’essenziale, rischiamo di diventare cristiani senza Cristo, magari vescovi, sacerdoti, diaconi, operatori pastorali, catechisti, gente impegnata in un movimento o in un’associazione, ma senza Cristo, senza dire realmente “Tu” a Gesù come presenza presente, come un amico al quale posso affidare la mia vita.
San Giovanni Paolo, spesso quando si rivolgeva ai giovani, presentava l’avvenimento cristiano proprio come “una questione di sguardo”, la grazia di incrociare lo sguardo di Cristo sulla propria vita , e in una sua poesia dedicata alla Veronica, così scriveva: «Nacque il tuo nome da ciò che fissavi».
Papa Francesco, nella lunga intervista concessa nel 2013 a padre Antonio Spadaro S.J. ha così riassunto una definizione di sé: «Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato. Io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto Miserando atque eligendo l’ho sentito sempre come molto vero per me» . Rievocando poi l’esperienza fondamentale, vissuta a 17 anni, durante una confessione, ricorda così che cosa accadde in lui: «Fu la sorpresa, lo stupore di un incontro, mi resi conto che mi stavano aspettando. Da quel momento, per me Dio è colui che ti “anticipa”. Tu lo stai cercando, ma è Lui a trovarti per primo. Lo vuoi incontrare, ma è Lui che ti viene incontro per primo» .
Carissimi fratelli e sorelle, l’Anno della Misericordia che stiamo ancora vivendo è l’offerta di un tempo di grazia, nel quale poter vivere l’incontro con la misericordia, resa volto umano in Cristo, e riscoprire così la libertà e la gioia di essere amati, perdonati, abbracciati da un Amore inimmaginabile e impensabile, se non si fosse rivelato a noi nella storia d’Israele e nella storia di Gesù, attestata e narrata nelle Sante Scritture, che hanno il loro cuore incandescente nei Vangeli.
Ora, vivere un tale incontro, entrare sempre di più nell’esperienza di questo sguardo a Gesù, suscitato e mosso dalla scoperta dello sguardo che Lui ha su ciascuno di noi, è davvero l’essenziale, così necessario per stare nella realtà, per ricominciare ogni giorno l’avventura del vivere, per affrontare le sfide e le prove del nostro tempo, sapendo incontrare e amare i nostri fratelli uomini, valorizzando ogni frammento di bontà, di bellezza e di verità presente nell’altro, anche se diverso da me, magari su posizioni ideali lontane dalla fede.
Un tale incontro non è l’esito delle nostre azioni, né tanto meno dei nostri progetti – anche pastorali! –, è un avvenimento che accade e si ripresenta per l’iniziativa instancabile del Signore risorto e vivente, che ci viene a cercare, che bussa alla porta della nostra libertà.
A noi allora che cosa è chiesto? Di essere aperti e disponibili a questo incontro, di riconoscerlo ogni volta che si rinnova, di metterci nelle condizioni per lasciarci guardare da Gesù e per guardare Gesù. Ora, se è vero che nella sua libertà Dio ha mille strade per farsi presente nella vita degli uomini, è altrettanto che, in forza dell’evento originario, dell’irruzione di Dio tra noi nella persona di Cristo suo Figlio, ci sono delle vie nelle quali Lui si fa incontro e che, come Chiesa e come singoli credenti, siamo chiamati a percorrere, a riscoprire e a offrire ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, che vivono con noi nelle nostre città, nei nostri quartieri, nelle nostre parrocchie, nei vari ambienti di vita (la scuola, l’università, il lavoro, i luoghi di divertimento, lo sport).
In conclusione provo a indicare, a me e a tutti voi, le vie che ci sono date, per diventare sempre più certi di Gesù e del suo amore fedele, capaci di testimoniare la letizia della sua presenza: sono vie antiche e sempre nuove, sulle quali intendo ritornare, più ampiamente, nella mia lettera pastorale, sono modalità differenti e complementari per vivere oggi l’incontro con Cristo, per fare nostra l’esperienza dei primi: «Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,39).
Papa Benedetto XVI, nella sua prima enciclica Deus caritas est, ha così sintetizzato il dinamismo della rivelazione e della comunicazione del Dio vivente: «Nella storia d’amore che la Bibbia ci racconta, Egli ci viene incontro, cerca di conquistarci — fino all’Ultima Cena, fino al Cuore trafitto sulla croce, fino alle apparizioni del Risorto e alle grandi opere mediante le quali Egli, attraverso l’azione degli Apostoli, ha guidato il cammino della Chiesa nascente. Anche nella successiva storia della Chiesa il Signore non è rimasto assente: sempre di nuovo ci viene incontro — attraverso uomini nei quali Egli traspare; attraverso la sua Parola, nei Sacramenti, specialmente nell’Eucaristia. Nella liturgia della Chiesa, nella sua preghiera, nella comunità viva dei credenti, noi sperimentiamo l’amore di Dio, percepiamo la sua presenza e impariamo in questo modo anche a riconoscerla nel nostro quotidiano».
Potremmo così riconoscere alcuni “luoghi” fondamentali, dove vivere l’incontro del nostro sguardo con quello di Dio, con quello del Signore Gesù:
• Egli si fa “vedere” e ci permette di riconoscerlo nel volto di uomini e di donne che sono diventati viva trasparenza di Lui: sono i Santi, di ieri e di oggi, canonizzati o nascosti nelle nostre comunità, amici e fratelli nella fede che rendono familiare e vicina la presenza del suo amore.
• Egli si mostra nella Parola di Dio, trasmessa a noi nelle Sante Scritture: impariamo ad ascoltare la Parola, la Presenza che parla e si svela, contempliamo Gesù nella testimonianza dei Vangeli. Così possiamo rivivere l’esperienza di una parola che fa ardere il nostro cuore, come ai discepoli di Emmaus (Lc 24,32: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?») e assumiamo, giorno dopo giorno, lo sguardo di Dio, «il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16).
• Egli si fa presente nei santi segni dei Sacramenti, nella Liturgia della Chiesa, in modo unico nell’Eucaristia, dove si dona a noi come pane vivo e rimane con noi: nell’adorazione eucaristica noi lo contempliamo, presente e nascosto nell’Ostia, lo guardiamo e ci lasciamo guardare da Lui. Quanto abbiamo bisogno di riscoprire, nelle nostre comunità, il senso della Presenza viva e reale di Cristo nell’Eucaristia, e a partire dalla celebrazione della Messa, quale tesoro è offerto a noi, se sappiamo dare del tempo, per sostare in silenzio di fronte al Signore risorto e presente nel pane eucaristico. Come sarebbe bello se nella nostra città di Pavia potesse nascere, da un gruppo nutrito di fedeli, il gesto dell’adorazione eucaristica perpetua, in qualche chiesa: sarebbe una sorgente di grazia per tutti!
• Egli, infine, si nasconde e si rivela nel volto dell’affamato, dell’assetato, dello straniero, del carcerato, dell’ammalato, del povero, secondo la sua stessa parola (Mt 25,40: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»). L’esistenza dei grandi santi della carità, come Madre Teresa di Calcutta, ci conferma la verità di questa presenza di Cristo nei poveri da amare, da servire: se ci lasciamo ferire e inquietare dalla sofferenza e dai bisogni dei fratelli, se sappiamo condividere ciò che siamo e ciò che abbiamo, scopriremo che davvero nei poveri, noi possiamo toccare la carne sofferente di Cristo, secondo l’invito insistente del nostro Papa.
Fratelli e sorelle, quanto più ci aiuteremo a vivere l’esperienza di questa familiarità con Cristo, e crescerà in noi la gioia della sua presenza, tanto più sapremo vivere con passione e intensità la nostra esistenza, amando la realtà dove il Signore ci pone a vivere e dove Lui è all’opera. Solo così potremo dare il nostro contributo alla costruzione di una società più umana, più rispettosa dell’autentico bene di ogni persona: ricentrarci sull’essenziale è ciò che ci consentirà di essere testimoni del Vangelo nel nostro tempo.
Affidiamo alla Vergine Assunta il nostro cammino: guardiamo a Lei come Madre, lasciamoci custodire dal suo sguardo e attingiamo dal suo cuore la grazia di un nuovo inizio per la nostra Chiesa e per la nostra vita.