Carissimi fratelli e sorelle,
Al termine della nostra processione, sostiamo in preghiera davanti alla preziosa reliquia delle Sante Spine, che da secoli sono custodite quale tesoro della Chiesa e della città di Pavia. Permettete che rivolga il mio saluto a Sua Eccellenza il caro Mons. Giovanni Giudici, che ha accolto l’invito a essere presente a questa suggestiva celebrazione; con lui saluto tutti voi, confratelli sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, e in particolare Mons. Primo Moioli, Prevosto di alcune parrocchie in Diocesi di Bergamo, presente con una piccola delegazione delle sue comunità, in quanto nella sua chiesa parrocchiale di Bagnella, a lui affidata, è custodita e venerata un’altra Spina della Corona di Nostro Signore. Saluto tutti i membri dell’Ordine del Santo Sepolcro e dell’Ordine Costantiniano, e tutte le Autorità civili e militari, che ci onorano della loro presenza. Questa sera, nel segno delle Sante Spine, vogliamo fissare lo sguardo su Gesù, nell’ora della sua sofferenza e della sua umiliazione, lo contempliamo consegnato nelle mani degli uomini, innocente nel suo silenzio, che nulla chiede e nulla recrimina. Così lo descrive Giovanni nel suo vangelo: «Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: “Salve, re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi» (Gv 19,1-3). Si compiono nella passione di Cristo le parole dell’antico canto sul Servo del Signore, attestate nel libro d’Isaia: «Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima» (Is 53,2b-3). Un re disprezzato, ridotto a una maschera di dolore, un re “da burla” che sembra non valere nulla, un volto sfigurato e percosso! Eppure, fratelli e sorelle, anche se non ha apparenza né bellezza, il suo volto mite ci attira, c’interpella, sa parlare, anche tacendo, al nostro cuore: quanti uomini e donne, nel loro cammino di santità, sono stati mossi e commossi dal volto dell’Ecce homo, dal Cristo coronato di spine, muto ma eloquente testimone di un amore puro e totale, e di un dolore composto e assunto nella libertà e nell’obbedienza al Padre! Proprio questo volto, con la fronte rigata dal sangue e dal sudore, è il volto della misericordia, che in questo Anno Santo siamo tutti invitati a guardare, per lasciarci guardare da lui, per lasciarci ferire dal suo amore. Infatti in Gesù, Dio si fa mendicante del nostro amore, bussa con discrezione alle nostre porte, e ci chiede di togliere dal capo del nostro Signore almeno alcune spine che noi, uomini, continuiamo a conficcare nel suo cuore, nel suo corpo che ora tocchiamo e incontriamo nella carne deturpata dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. Noi custodiamo tre Sante Spine, tratte dalla corona di Gesù, e che possiamo riconoscere come segno di spine che feriscono, ancora oggi, il nostro Signore, il nostro Re, nell’esistenza di uomini e di donne, di bambini e di anziani che sono fratelli e sorelle nostre nella comune umanità. La prima spina è l’indifferenza, che può assumere tanti volti: è l’indifferenza verso Dio, talvolta più presente in certi credenti, che nell’inquietudine di chi sta cercando con passione la verità, Dio che viene dimenticato e cancellato dall’orizzonte concreto e reale del nostro vivere e del nostro operare, è l’indifferenza verso Cristo, che rischia di essere, per molti, una presenza ignota e estranea alla vita, è l’indifferenza verso l’altro, per cui, tutti rivolti alle nostre cose e ai nostri interessi, non sappiamo più vedere, negli occhi, il volto di chi ci cammina accanto, a qualunque popolo appartenga, non ci lasciamo più inquietare e provocare dal bisogno del fratello, che conosce la povertà nelle sue varie forme, e ci chiudiamo nella nostra solitudine, nella nostra tranquillità, nelle nostre sicurezze. Signore Gesù, con la forza mite del tuo amore, vinci la nostra indifferenza, donaci un cuore vivo, un cuore di carne, che si lasci commuovere dalla tua passione e si lascia ferire dalle sofferenze, dal grido anche silenzioso di tanti fratelli e sorelle che ci passano accanto! La seconda spina che trafigge il Signore è l’orgoglio, che ci porta sottilmente a voler prevalere, ad affermare una nostra superiorità, a perseguire logiche di competizione sempre più disumanizzanti, nei rapporti sociali, nel lavoro, negli ambienti di formazione; ed è un orgoglio che diviene anche presunzione di fissare noi i limiti del bene e del male, di non accettare il nostro essere creature, pretendendo di produrre, di selezionare, di manipolare la vita umana, nel suo sorgere, di ridefinire noi il nostro essere uomini e donne, perdendo le evidenze fondamentali dell’identità e della generazione umana, della famiglia naturale, fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna, o cedendo alla tentazione di stabilire noi quando una vita è degna d’essere vissuta. Signore Gesù, nella tua umile e libera obbedienza al Padre, insegnaci la bellezza dell’essere creature, e ridonaci la gioia di essere figli, e perciò fratelli, che vivono la libertà di amare e di lasciarsi amare da Dio, di lasciarsi fare dal suo amore e di diventare collaboratori della sua opera nel mondo! La terza spina che ferisce il capo delicato di Gesù e dei suoi fratelli uomini è l’impurità, che scandalizza e deturpa l’innocenza dei piccoli, che banalizza e sciupa la bellezza dell’amore, che tutto giustifica, in nome della libertà, e cancella dal cuore il senso autentico del pudore e della vergogna. Tanto che oggi non abbiamo più il coraggio, a volte anche nei nostri ambienti cristiani, nelle nostre comunità, nei nostri percorsi di formazione per i ragazzi e i giovani, nelle nostre famiglie, di parlare di verginità, di castità. Forse perché, per troppo tempo, le abbiamo concepite in modo moralistico, e le abbiamo ridotte a una serie di divieti, senza scoprire e trasmettere la verità più profonda: che proprio la castità, come sguardo e come atteggiamento del cuore, è la virtù che custodisce l’amore autentico, l’amore bello e puro, e fa crescere in noi la tenerezza, «l’arte di amare l’uomo nella sua totalità», come la definiva san Giovanni Paolo II, testimone e maestro per tante coppie di giovani, come sacerdote, come vescovo e come Papa. Signore Gesù, Agnello puro e innocente, custodisci in noi la vera libertà, che non è assecondare sempre e comunque le nostre pulsioni o i nostri immediati desideri, ma è saper amare, come Tu ami, accostando ogni realtà, ogni persona, ogni volto, con tremore, con gratitudine, con gratuità, riconoscendo che tutto è segno santo e sacro del Mistero, tutto è dono del Padre! Ecco, carissimi fratelli e sorelle, la nostra presenza qui stasera sia atto di venerazione per il dono delle Sante Spine, sia gesto di popolo credente, che vuole camminare sulle orme dei suoi padri, sia invocazione umile e accorata a Cristo, fiduciosi e certi del suo amore misericordioso, che sa portare la sua corona di spine, assumendo e condividendo le ferite e le sofferenze di tutti! Amen
+ Mons. Corrado Sanguineti
(Vescovo di Pavia)