Secondo la tradizione ormai secolare, la Chiesa e la città di Pavia si apprestano a celebrare la festa delle Sante Spine, con la processione che si svolgerà la sera del lunedì dopo Pentecoste: come Vescovo di questa Diocesi, per la prima volta avrò la gioia di presiedere questo gesto di preghiera, di omaggio e di confessione pubblica per le vie della nostra città. La festa, che ogni anno ritorna, è innanzitutto occasione per fare memoria di queste reliquie della Passione di Gesù, custodite nel nostro Duomo: forse tutti i pavesi conoscono la storia di queste tre Spine, che sono un dono e un segno da accogliere e da riscoprire. Secondo la tradizione, la Corona di Spine, ritrovata sul Calvario a Gerusalemme da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, fu prima conservata nella Città Santa e poi portata a Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente; da qui, le Sante Spine giunsero in Europa, e in occasioni diverse, tre Spine furono donate ai Visconti, signori di Pavia, i quali le custodirono nella cappella del loro castello. Successivamente, dal 1499, furono affidate alla città e al Capitolo della Cattedrale; nel 1527, durante l’orribile sacco di Pavia, ad opera dei francesi, un soldato le trafugò e, fuggito a Loreto, le lasciò al Santuario. Nel 1545 i pavesi vennero a scoprire che a Loreto si trovavano le preziose Spine e le riportarono trionfalmente in città: quella fu la prima processione delle Sante Spine, che, da allora, sono conservate nel nostro Duomo, come tesoro dell’intera comunità, ecclesiale e civile. Ho voluto, con brevi cenni, richiamare la storia di queste reliquie, perché è bene non smarrire la memoria del passato, che rappresenta il fondamento del nostro presente, come Chiesa e come città, e anche se oggi il volto della nostra Pavia è molto diverso da quello della Pavia dei Visconti, della Pavia nella quale la fede cristiana e l’appartenenza alla Chiesa erano esperienza di tutti gli abitanti e regolavano profondamente anche il vivere civile, ritengo che questo segno racchiuda una parola che può essere proposta a tutti, e che valga la pena ritrovarci, come popolo, intorno alle SS. Spine. Ovviamente esse ci rimandano alla passione di Gesù, e in particolare alla sua coronazione di spine, alla scena drammatica di quella sorta di gioco crudele, con cui i soldati romani, dopo la flagellazione, si divertirono a deridere il Nazareno, come preteso re dei Giudei: appunto un re “da burla”, che riceve come manto regale, il mantello rosso di un soldato, come scettro, una canna con cui è percosso, e come corona, un casco di spine pungenti, che cingono il suo capo, aggiungendo dolore a dolore. Vale la pena, rileggere la pagina evangelica che ci permette di immedesimarci con Gesù, abbandonato nelle mani degli uomini, alla mercé di una violenza gratuita e assurda: «Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: “Salve, re dei Giudei!”. E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo» (Mc 15,16-20).
Un messaggio per tutti i pavesi, credenti e non credenti
Le spine che circondano il volto sofferente di Cristo diventano così un segno, che siamo invitati a guardare, a leggere, a comprendere: un segno che assume molteplici significati e che può dire qualcosa a tutti i pavesi, credenti e non credenti, perché il mistero e il dramma della passione di Gesù hanno un’eloquenza che parla a tutti. Lo ricordava San Giovanni Paolo II, nella sua prima lettera enciclica quando, parlando della vita di Cristo, scriveva: «La Chiesa non cessa di ascoltare le sue parole, le rilegge di continuo, ricostruisce con la massima devozione ogni particolare della sua vita. Queste parole sono ascoltate anche dai non cristiani. Egli, Figlio del Dio vivente, parla agli uomini anche come Uomo: è la sua vita stessa che parla, la sua umanità, la sua fedeltà alla verità, il suo amore che abbraccia tutti. Parla, inoltre, la sua morte in Croce, cioè l’imperscrutabile profondità della sua sofferenza e dell’abbandono» (“Redemptor Hominis”, n. 7). Di che cosa sono segno le spine che hanno trafitto il capo di Gesù? In primo luogo, sono il segno di una sofferenza ingiusta, che colpisce un innocente, un uomo indifeso, che ne sfigura il volto, con gesti e parole di derisione, di umiliazione, d’inumano disprezzo della sua dignità. Nelle spine di Cristo, nel volto dell’ “Ecce Homo”, possiamo intravedere e riconoscere i volti di tanti uomini, donne, bambini, oggi violentati, feriti nel corpo e nell’anima, umiliati in mille modi: c’è, purtroppo, un mistero di male che attraversa la nostra storia, c’è sempre la possibilità, in modi più o meno appariscenti, di trafiggere con le spine della derisione, dell’intolleranza, del disprezzo, fratelli e sorelle in umanità. Allora, onorare le Sante Spine di Cristo è un potente richiamo a vigilare, tutti e ciascuno, perché nella vita quotidiana, nei rapporti sociali, nella convivenza civile non abbiamo mai a dare spazio a forme di violenza, d’ingiustizia, a scelte e a comportamenti in cui l’altro è calpestato, disonorato, ridotto a oggetto di scherno, di pregiudizio, di condanna gratuita.
Apriamo gli occhi e il cuore verso profughi e perseguitati
Positivamente, celebrare la festa delle Sante Spine significa aprire gli occhi e il cuore per riconoscere il volto paziente e sofferente di Cristo in tutti coloro che vivono in situazioni degradanti, umilianti, di progressiva marginalità sociale e umana: i tanti perseguitati per la loro fede, soprattutto i cristiani del Medio Oriente o di troppi paesi dove la libertà religiosa è calpestata, nel silenzio vergognoso dei potenti, i poveri che sono anche tra noi, nelle nostre case e nelle nostre strade, i profughi che fuggono da orrori per noi inimmaginabili, coloro che rischiano di essere assenti, dimenticati, nell’orizzonte del nostro quotidiano e dei nostri progetti, come i carcerati, i senza tetto, gli uomini e le donne caduti nel grado più basso della scala sociale. Come tante volte ci ripete Papa Francesco, è proprio in questi fratelli e sorelle, che noi oggi possiamo toccare la carne sofferente di Cristo, e la comunità civile ed ecclesiale si mostra all’altezza del suo compito, se sa mettere al centro le fragilità, le “spine” che feriscono l’esistenza dei più deboli tra noi. In secondo luogo, le Sante Spine sono il segno di una regalità nuova e sorprendente, ed è la regalità di Cristo: un re diverso dalle immagini mondane, un re povero, umiliato e umile, che sembra essere il perdente, ma che invece attesta la vera potenza, capace di trasformare i cuori e la vita, personale e sociale, la potenza di un amore donato e di una bellezza disarmata, che attrae, senza imporsi, la potenza del Crocifisso che, amando, prende su di sé il male e vince la morte. Parlando di questa regalità paradossale di Cristo, coronato di spine, e intronizzato sulla croce, così diceva Benedetto XVI: «Ma in che cosa consiste il “potere” regale di Gesù? Non è quello dei re e dei grandi di questo mondo; è il potere divino di dare la vita eterna, di liberare dal male, di sconfiggere il dominio della morte. È il potere dell’Amore, che sa ricavare il bene dal male, intenerire un cuore indurito, portare pace nel conflitto più aspro, accendere la speranza nel buio più fitto. Questo Regno della Grazia non si impone mai, e rispetta sempre la nostra libertà. Cristo è venuto a “rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37) – come dichiarò di fronte a Pilato –: chi accoglie la sua testimonianza, si pone sotto la sua “bandiera”, secondo l’immagine cara a sant’Ignazio di Loyola» (Benedetto XVI, “Angelus” di domenica 22/11/2009).
Ritroviamoci in tanti per la processione del 16 maggio
Proprio per riproporre alla nostra amata città il messaggio racchiuso nel segno delle Sante Spine, invito tutti a vivere, come popolo, il gesto della processione alla sera di lunedì 16 maggio: ritrovarci in tanti, come persone e come comunità, non solo per onorare un dono che ereditiamo dai nostri padri e dalla tradizione cristiana di Pavia, ma per accogliere e vivere il richiamo che, silenziosamente, le Sante Spine ci rivolgono, a prenderci cura del Cristo che soffre nei nostri fratelli e sorelle, feriti dalle spine della vita, e a essere testimoni, con Cristo e dietro a lui, del vero potere, il potere di chi ama, di chi serve, di chi accoglie la gratuità come legge di vita.
+ Mons. Corrado Sanguineti
(Vescovo di Pavia)