Carissimi fratelli e sorelle, siamo in tanti questa mattina a celebrare l’Eucaristia in suffragio e in memoria del servo di Dio Don Enzo Boschetti nell’anniversario della sua morte, avvenuta il 15 febbraio 1993, a dieci anni dall’apertura della Causa di Beatificazione, introdotta dal mio predecessore, il caro vescovo Giovanni Giudici, proprio il 15 febbraio 2006. Molti di voi hanno conosciuto don Enzo e hanno vissuto con lui intensi legami che vanno oltre la soglia della morte: penso ai suoi familiari, a coloro che hanno condiviso, fin dall’inizio, il cammino della “Casa del giovane”, a tutti coloro che hanno incontrato in lui un testimone semplice e trasparente della tenerezza e della misericordia di Dio. Ma anche coloro che non l’hanno conosciuto di persona, ma che ne hanno incontrato l’opera e la testimonianza, avvertono un legame con lui, lo sentono vivo, e riconoscono nella sua persona un dono grande per la loro vita. Vi confesso che tra questi, mi ci metto anch’io: in queste prime settimane come vescovo di Pavia, ho iniziato a conoscere la sua figura, che mi affascina e mi colpisce per molti aspetti, attraverso il primo incontro, nel giorno del mio ingresso, con la “Casa del giovane”, attraverso il racconto e la memoria di lui che raccolgo da non pochi preti e laici, attraverso una prima lettura della sua vita. Sappiamo che nella vita di Don Enzo ha avuto sempre un posto centrale l’ascolto della Parola di Dio, letta nel grembo della madre Chiesa, una Parola che ha nutrito la preghiera e il percorso, non facile, della sua vocazione e della sua opera, una Parola che è diventata il criterio di fondo delle sue scelte, dei suoi giudizi, del suo sentire e del suo operare, una Parola che ha trovato in lui un’originale incarnazione. Perché la santità, fratelli e sorelle, alla fine è l’avventura che permette a ciascuno e a ciascuna di noi, nella docilità allo Spirito, di scrivere e di rendere nuovamente viva la parola del Vangelo, nella nostra umanità, con la sua storia, il suo temperamento, le sue fatiche e i suoi limiti, le sue gioie e le sue sofferenze. Perciò, proviamo a sorprendere come la Parola delle Scritture donata a noi oggi, in questa prima domenica di Quaresima, ha preso vita e carne in Don Enzo e in ciò che da lui è nato e continua a vivere nella grazia del suo carisma. Un primo tratto che domina la vita di Don Enzo è la radicalità del suo rapporto con Dio, la scoperta, fin da giovane, della presenza e del primato di Dio: possiamo dire che Enzo Boschetti ha desiderato offrire a Dio le primizie della sua esistenza e della sua giovinezza, così come, nella prima lettura, il credente d’Israele era invitato a presentare al Signore le primizie del suolo, deponendole davanti al sacerdote e professando la sua fede. Così a vent’anni anni Enzo entra nei carmelitani, attratto da un amore potente e irresistibile, l’amore di Gesù e per Gesù, scoperto anche attraverso la testimonianza della piccola grande santa del Carmelo, Santa Teresa di Gesù Bambino. Alla scuola del Carmelo, si lascia formare alla preghiera, alla vita di contemplazione e di viva comunione con Dio, all’amore del silenzio, come via per ascoltare il Signore e la sua parola, alla povertà radicale e pura: sono tutti tratti che segneranno per sempre don Enzo, un “contemplativo nell’azione”, un uomo che nel suo spendersi per i più deboli e più emarginati, nelle sue tante opere, nelle sue attività fonte di preoccupazioni e di tensione, non perderà mai di vista l’essenziale, per sé, per i suoi amici e figli della comunità e della Casa, per tutti coloro che incontrerà nel suo cammino di prete. Davvero, come Gesù si è lasciato guidare dallo Spirito nel deserto, e lì, prima d’iniziare la sua missione, si è radicato nella sua relazione con il Padre, attraversando le tentazioni e le seduzioni del Nemico, così don Enzo si è lasciato condurre dallo Spirito nel deserto, attraverso un percorso travagliato. Dopo sette anni, è dovuto uscire, con dolore, dall’Ordine Carmelitano, per intraprendere il cammino verso il sacerdozio, sospinto da un fuoco interiore, dall’urgenza di essere pastore con gli ultimi e i poveri. Ma, nel cuore, in mezzo a tante opere, è sempre rimasto uomo del Carmelo, uomo del silenzio, della preghiera, uomo preso e conquistato da Cristo. Quante volte parlerà dei santi carmelitani, a cui continuerà a guardare, e l’alimento costante della sua esistenza, nel suo crescente impegno nella grande opera che ha visto nascere sotto i suoi occhi, rimarrà sempre la preghiera, nutrita di ascolto e di silenzio, un silenzio che non è isolamento né un vuoto per trovare pace e benessere interiore, ma è luogo di un ascolto, che spalanca il cuore all’incontro con gli altri, a saper vedere e intercettare le sofferenze e i bisogni, anche non espressi dei fratelli. Potremmo dire che c’è un cuore incandescente in Don Enzo, ed è questo cuore il segreto della sua fecondità e la forza che lo sostiene nelle fatiche, nelle prove, nelle incomprensioni che ha potuto incontrare. Scrive su un quaderno il 25 gennaio 1977, festa della Conversione di San Paolo: «Il silenzio umano diventa forza solo se riempito dalla presenza di Dio. Di un Dio persona, non meno che ineffabile e assoluto. Se ti risparmi non bruci, se non bruci non ti consumi, se non ti consumi, non puoi rinascere, se non rinasci, non entrerai nel Regno di Dio». Un secondo tratto che caratterizza il cammino di Don Enzo è la sua profonda umanità: intendo per “umanità” non solo l’accento della sua viva e vivace umanità, capace di passione, di desiderio, capace di prendersi a cuore persone e situazioni, ma anche la sua disponibilità a farsi accompagnare, sostenere e guidare da presenze amiche che hanno segnato le varie tappe del suo cammino, negli snodi più difficili e dolorosi, nelle novità inattese, nelle aperture di nuove vie per testimoniare il Vangelo. Da quel che ho percepito della sua figura, Don Enzo non era un solitario, sapeva riconoscere gli amici grandi, padri e fratelli e sorelle nella vita di fede, sapeva imparare da tutti, iniziando proprio dagli ultimi, dai poveri, e si sentiva figlio della Chiesa: da qui il legame con i suoi vescovi, Mons. Allorio, Mons. Angioni e Mons. Volta, da qui il senso di essere prete diocesano e il carattere diocesano che ha voluto imprimere alla sua opera e alla sua comunità, da qui le tante amicizie che ha saputo intessere e lo stile fraterno e amicale che ha voluto per le sue case. Ebbene, fratelli e sorelle, qui c’è il segno di Dio, il Dio che è amore e comunione, il Dio amico degli uomini in Gesù di Nazaret, e non a caso il Nemico che cerca di allontanare Gesù dalla sua missione è chiamato nel vangelo «il diavolo», colui che divide e crea disordine, colui che separa e conduce alla solitudine disperante. Gesù, attraversando le tentazioni del Maligno, afferma il suo legame con il Padre e la sua disponibilità ad amare fino alla fine gli uomini suoi fratelli, e questa è la via che anche Don Enzo, come ogni vero discepolo del Signore, ha accettato di percorrere. Chiediamo oggi al Signore che la testimonianza di Don Enzo Boschetti resti viva e feconda nella nostra chiesa, che nascano nuove vocazioni per la sua opera, di totale donazione a Cristo, e che il Padre susciti nuovi santi per il nostro tempo, convinti di ciò che scriveva don Enzo: «I santi li sento come fratelli e protettori. Senza i santi la Chiesa sarebbe senza luce e il cammino senza strada. Gesù donaci tanti santi anche oggi, santi dell’amore di Dio e del prossimo e santi capaci di santificare e trasformare il mondo e renderlo più degno dei figli di Dio». Amen!
+ Mons. Corrado Sanguineti
Vescovo di Pavia