Passione del Signore

Durante i riti della settimana santa, e in particolare nel rito che stiamo compiendo, lo sguardo del credente è invitato a leggere in profondità tutti fatti che riguardano i giorni conclusivi della vicenda terrena di Gesù. A noi cristiani infatti gli avvenimenti che riguardano il Maestro, e che costituiscono la drammatica cronaca della cattura, del giudizio, della morte di Gesù di Nazaret, non sono riducibili mai a quanto di essi appare, ma ad “altro”: segni di salvezza, inizio di un nuovo modo di vivere. 
 
Il Vangelo di Giovanni è particolarmente adatto a farci vivere i riti di questi giorni, che attraverso il ricordo della passione del Signore, ci fanno intravvedere la luce della Risurrezione e della Gloria. Noi infatti ricordiamo i fatti del passato, siamo certi di come essi si siano conclusi nella gloria. E tuttavia sappiamo che essi sono portatori di luce e forza per il nostro presente.
 
Come avviene nel racconto che va dall’arresto di Gesù, alla sua morte in Croce, che Giovanni già ci descrive come un’alba di vita piena, così chiediamo che sia per la nostra vita presente: lo sguardo del discepolo possa guardare ai fatti dell’ordinaria esistenza, come gli eventi mondiali, non ridotti alla sola cornice della cronaca, ma li sappia cogliere con lo spessore di “avvenimenti” ove si manifesta l’opera misteriosa di Dio.
 
1)   Il messaggio
 
Giovanni giunge, attraverso la lettura degli avvenimenti che egli consegna al suo Vangelo per le future generazioni di credenti, a indicare che la Croce, patibolo dell’ignominia, è in realtà il trono di Cristo Re. La regalità del Signore é nascosta nel chicco di grano che muore. Si tratta d’una lettura “sapienziale” della storia, una lettura compiuta col dono della Sapienza, che siamo invitati a fare proprio nell’anno dedicato alla esperienza della fede; e così ci è dato di leggere in Dio tutta la realtà.
 
Nel racconto della Passione che abbiamo ascoltato, l’ascoltatore è posto di fronte a tutta la drammaticità degli eventi, ma non abbiamo avvertito in Gesù né l’angoscia per la drammaticità degli eventi, nè la tentazione di rifiutarsi innanzi alla volontà del Padre. Come sappiamo, l’evangelista Giovanni, a differenza degli altri evangelisti, non racconta il sudare sangue, l’angoscia durante la preghiera nell’orto degli ulivi. Il racconto dei fatti è obiettivo, ma al centro della tragica narrazione che va dell’arresto violento alla morte in croce, sta la persona di Cristo in atteggiamento che potremmo definire da Signore degli avvenimenti e delle persone. Colui che noi osserviamo arrestato, e poi è immediato immaginare legato come un malfattore dinanzi alla corte; colui che è descritto mentre è flagellato e deriso, è anche illuminato e trasfigurato dal fatto che tutti i personaggi ruotano attorno a lui, sofferente e pure imperturbato, deriso e sempre padrone di sè. Tanto campeggia la figura di Gesù in tutto il racconto, chee onestamente viene da chiedersi: ma qui prevale la luce della grandezza di questo Uomo, oppure prevale la tenebra?
Noi dunque, celebrando in questa sera la passione del Signore, vivendo questo secondo momento della intera parabola della Pasqua, siamo chiamati a porre a noi stessi la domanda:
2)    chi è Gesù? E poi: che cosa consegue da tutto questo per il mio essere suo discepolo?
C’è una modalità di essere discepoli di Gesù che non si restringe ad una generica buona vita cristiana, ma contiene anche l’impegno ad assimilare il suo stile di stare nella vita, soprattutto nelle difficoltà e nelle contraddizioni. Lasciamoci dunque illuminare dalla regalità di Cristo come emerge dalla racconto della passione di Giovanni. Nel brano evangelico ascoltato Gesù mostra alcuni tratti regali: consapevole, libero, signore, consegnato, custode dei suoi.
1. Consapevole
“Sapendo tutto ciò che doveva accadergli”. Non una consapevolezza improvvisa, ma in continuità col prima e col dopo: “Sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre” (Gv13,1); “Sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, affinché si compisse la Scrittura, disse: “Ho sete”. “ (Gv19,28).
Il verbo usato tanto nell’orto degli ulivi come negli altri due casi é sempre una presa di coscienza acquisita in modo stabile, continuativo, totale e preciso. Gesù non é colto alla sprovvista da quello che accade. Da sempre egli sa. Gli avvenimenti non lo travolgono, ma é lui che, sapendo ciò che deve accadere, ne ha la regia.
2. Libero
“Si fece innanzi e disse loro ‘chi cercate?’. Gesù é un uomo libero perché consapevolmente vuole quello che sta avvenendo. Non soccombe sotto i fatti, anche se sono violenti, ma li assume. La sua determinazione é frutto d’un atto di volontà, di una decisione nella quale egli sintetizza tutto il significato della sua esistenza. Questo atto libero costituisce un investimento di tutta la sua persona. Dinanzi al Procuratore Ponzio Pilano risponde con piena dignità. Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (18,36). Egli é libero perché vive, compie, consuma la verità del suo destino. Gesù é l’unico caso storico d’un uomo totalmente unificato nell’aderire al progetto della propria vita. 
3.   Signore
All’inizio del brano, quando le guardie vengono ad arrestarlo, alla sua risposta essi “Appena disse loro “Sono io”, indietreggiarono e caddero a terra “. Lo sguardo teologico dell’evangelista si fa qui particolarmente penetrante. Sono venuti ad arrestare uno che salirà sul patibolo dei peggiori delinquenti, e si gettano a terra in atto di prostrazione, quando Gesù dice “Sono io”. E’ ancora paradossale e tragica affermazione di regalità, il gioco crudele dei soldati: E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: “Salve, re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi. (19,1-3) Come sulla Croce, suo trono, viene posto un cartello che avverte: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”. E non c’è modo di togliere questa indicazione regale.
4. Custode dei fratelli
Abbiamo ascoltato all’inizio del brano: “Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano “. Giovanni dunque ci mostra Gesù che dà il suo congedo agli apostoli. Egli guida regalmente gli eventi, non ne é sopraffatto, e custodisce coloro che il Padre gli ha affidato: “Di coloro che mi hai dato nessuno é andato perduto” (Gv 18,9). La custodia amorosa degli altri, anche nel momento della propria prova suprema, si manifesta con l’attenzione alla madre sua, e anche al discepolo, che affida a Maria. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. (19,27)
 
3)   che cosa consegue da tutto questo per il mio essere suo discepolo?
 
La lettura che Giovanni fa della Passione e Morte del Signore ci chiama anzitutto a comprendere una verità difficile ma essenziale per la nostra vocazione cristiana: la Gloria di Dio non é dopo, o accanto, alla Croce, ma dentro di essa. “Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me ” (Gv 12,32). L’innalzamento, cioè la crocifissione, é per noi credenti, a partire dalla testimonianza di Giovanni, l’intronizzazione, la glorificazione di Gesù.
 
E il Crocifisso è dunque il vincitore del male e della morte, il salvatore di tutte le genti.
a.    La violenza che non è da lui soltanto subita, ma abbracciata, assunta, accettata non è più la soluzione dei conflitti personali e di popoli.
 
b.    La Croce, l’Evangelo è l’annuncio totale della buona notizia d’un Dio cosi amico degli uomini che avendoli amati, li ama sino alla fine. La Croce é manifestazione piena dell’Amore di Dio.
 
c.    Alla luce della croce comprendiamo che il Signore sostiene la fragile fede dei cristiani, la nostra tiepidezza nell’amore. Egli lega a sé tutti i suoi discepoli. Risentiamo che cosa dice di fronte al Sommo Sacerdote afferma: “Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto”.(18,20-21)
 
E’ la forza di Cristo che prende posto in noi, per cui Paolo può affermare: “quando sono debole é allora che sono forte “ (2Cor 12,10). Nell’infermità risiede per il discepolo la garanzia di essere accompagnato dal Signore Gesù.
 
Ed è vero anche per i nostri tradimenti, dai nostri limiti: da essi, vissuti con umiltà, il Signore trae la nostra salvezza. Egli, in tutto simile a noi tranne che nel peccato, non ha conosciuto il tradimento, ma ha sperimentato, come uomo, la fragilità, la vulnerabilità, che noi sperimentiamo e che ci porta a tradire. Il vangelo di Giovanni ci dice che anche nei nostri tradimenti Dio ci dà appuntamento, poiché é nella nostra debolezza che lui manifesta la sua onnipotenza.
 
Rinnoviamo questi sentimenti nell’adorazione alla Croce che tra poco faremo.