Monsignor Giudici, nel suo intervento dello scorso 21 ottobre a Brescia per commentare il Magistero della Pace in Giovanni Paolo II, lei sottolinea che la rilettura dei testi di Papa Wojtyla può aiutarci in un cammino di maggior consapevolezza per riflettere sul tema della Pace oggi nella Chiesa e nel mondo.
“Il passaggio determinante che c’è stato nell’ultimo secolo, nell’insegnamento della Chiesa, è la presa di coscienza che la Pace sia certamente costruita dalla promozione dei diritti umani. Tuttavia questo ancora non basta: occorre che l’umanità impari a dire di no ad ogni guerra”.
Prima di arrivare a parlare di Giovanni Paolo II, lei ricorda che Pio XII fu “il primo Papa a dare consistenza a un pensiero critico nei confronti della guerra”.
“E’ famoso il grido lanciato da Papa Pio XII: “Nulla è perduto con la Pace, tutto può essere perduto con la guerra”. Questo pontefice, particolarmente attento alla radici filosofiche della convivenza umana, ci insegnava che dall’unità del genere umano (“siamo tutti figli di Dio, siamo tutti fratelli tra noi”) deriva la condanna della guerra. La guerra non è mai soluzione di controversie e non può mai servire al prestigio nazionale. Il Papa, affermando questi principi, coglieva due grandi tentazioni delle potenze mondiali di quegli anni: la conquista e la volontà di dominio nei confronti degli altri popoli”.
Una svolta epocale a proposito di questo tema è stata data dall’Eniclica “Pacem in Terris”, emanata da Papa Giovanni XXIII.
“La novità portata da Papa Giovanni XXIII è stata quella di creare un consenso sul tema della Pace e sulla condanna della guerra: un’unione che superi gli stretti confini confessionali dell’appartenenza alla religione cattolica. E’ per questo che egli scrive che è “irragionevole” cercare la soluzione dei conflitti con l’uso della forza militare”.
Arrivando a parlare di Giovanni Paolo II, lei ci ricorda che “è soprattutto a partire dal primo incontro delle religioni ad Assisi nel 1986” che si riscontra “una ferma volontà di togliere ogni legittimità a guerre di religione e scontri di civiltà”.
“Già in quegli anni la nostra società avvertiva i vantaggi e gli svantaggi di ciò che chiamiamo globalizzazione, che comporta un legame profondo e molto articolato tra tutti i popoli della Terra. In questa condizione emerge la volontà di richiamare i principi di identità di popoli e di nazioni. E’ nell’epoca moderna che ci troviamo di fronte ai conflitti etnici e, più avanti, al tema del confronto tra le grandi religioni, Cristianesimo ed Islam, chiamato scontro di civiltà. Papa Giovanni Paolo II deve confrontarsi con questi temi: la sua dottrina sulla pace compie un ulteriore passo in avanti. Come evitare che si creino queste contrapposizioni? La sua risposta è insieme positiva, ma anche frutto di una dolorosa riflessione sulle limitazioni della volontà umana di fare la pace”.
Ma “la novità dirompente per cui ricordiamo oggi con gratitudine Giovanni Paolo II – per citare sempre il suo intervento di Brescia – è quella contenuta nel messaggio per la Giornata mondiale del 1 gennaio 2002, certamente l’apice teologico del pensiero sulla Pace del Papa e di tutto il Magistero cattolico”. Una data quanto mai significativa, perché giunge a meno di 4 mesi dalla tragedia dell’11 settembre.
“Questo evento drammatico ha posto in luce la necessità di arrivare ad una convivenza tra i popoli che superi la storia, segnata talvolta da contrapposizioni e da soprusi, e superi anche il giudizio che ciascuna dottrina, quando è vissuta dalle persone, viene considerata “superiore” alle altre. Ecco allora che il Papa entra nel tema nuovo del perdono. Le memorie personali sono sempre il frutto di frustrazione e di fatica nel rapporto con l’altro; ma, come ci insegna la sociologia, le memorie sociali sono ancora più persistenti nel tempo. Quindi occorre avere a che fare con questa sfida del costruire dentro di sé una capacità di perdono: è necessario “disarmare gli animi” per giungere veramente a condizioni di dialogo e di Pace”.
Monsignor Giudici, lei sottolinea anche che “Papa Giovanni Paolo II ha indicato alcune categorie di persone particolarmente sensibili alla realizzazione di un mondo riconciliato: i giovani, le donne, i cristiani”. Sono loro gli “operatori di Pace”?
“Prima di tutto i giovani. Giovanni Paolo II, come sappiamo, aveva una capacità particolare nel rapportarsi con loro. Il Papa sapeva riconoscere in loro il futuro, la novità il desiderio di avventurarsi in strade mai battute. Chi vuole la Pace deve essere un po’ pioniere, capace cioè di affrontare percorsi non ancora esplorati. Poi le donne, che sono portatrici di vita e appaiono predisposte ad una maggiore attenzione verso un’esistenza fragile: dunque sono naturali alleate della Pace. Infine il Papa ricorda che noi cristiani siamo particolarmente chiamati ad amare la Pace. L’esempio arriva da Gesù che, per costruire la Pace, è diventato un Messia sofferente che ha portato su di sé le contraddizioni e le incomprensioni presenti nella sua società: non è fuggito e non ha cercato possibili mediazioni, ma ha affrontato con coraggio questo dolore accettando anche di essere crocifisso e ucciso”,
Alessandro Repossi (repossi@ilticino.it)