Lo scorso 11 luglio 2019, nel silenzio e nell’indifferenza di molti, è morto nell’ospedale di Reims in Francia Vincent Lambert, tetraplegico in stato di minima coscienza, a seguito di un incidente stradale avvenuto nel 2008. Era un paziente clinicamente stabilizzato, niente affatto in fin di vita, né soggetto a sofferenze insopportabili: in condizioni come le sue, vivono molte persone accudite in strutture di cura o talvolta nelle case, con amore e consistente aggravio di risorse, da famiglie spesso lasciate sole o con sostegni insufficienti da parte dello Stato. Vincent è morto non per cause naturali o per sospensione di cure sproporzionate ed eccessive, tali da configurare una sorta di “accanimento terapeutico”; è morto perché, per atto intenzionale del personale medico, avallato da una sentenza inappellabile della Cassazione, è stato tolto l’apporto di fluidi e di sostanze alimentari, sedando il paziente per alleviare le inevitabili sofferenze, durate dieci giorni, di un organismo privato degli alimenti essenziali per vivere. I suoi genitori hanno combattuto una lunga battaglia giudiziaria per impedire la morte del loro figlio, contro la volontà della moglie e di altri familiari, e negli ultimi giorni, quando ormai l’alimentazione e l’idratazione di Vincent erano state sospese, mamma Viviane ha alzato il suo grido: «Piango a voce alta perché vogliono uccidere Vincent. Questa è la verità. Non è in fin di vita. Non è un vegetale». Uno degli avvocati dei genitori si è espresso con parole forti, evocando l’immagine della basilica di Notre Dame avvolta dalle fiamme: «Una cattedrale d’umanità brucia sotto i nostri occhi». Lo scrittore francese, agnostico e laico, Michel Houellebecq, non si è accodato alle voci dei pensatori “à la page” e su “Le monde” ha scritto: «E così lo Stato francese è riuscito a imporre ciò che perseguivano con accanimento, e da diversi anni, numerosi familiari: la morte di Vincent Lambert. Egli non era affatto tormentato da dolori insopportabili … Non era nemmeno in fin di vita. Viveva in uno stato mentale particolare sul quale sarebbe molto più onesto ammettere che non si hanno finora cognizioni precise». Papa Francesco ha espresso il suo dolore e la sua preoccupazione con parole limpide: «I medici servano la vita, non la tolgano! Non costruiamo una civiltà che elimina le persone la cui vita riteniamo non sia più degna di essere vissuta: ogni vita ha valore, sempre».
La contraddizione dell’Europa
Non voglio ora diffondermi nell’analisi della tragica vicenda di Vincent Lambert, né nella discussione, che coinvolge anche il nostro Parlamento, su una legge del “fine vita”: rimando alla bellissima intervista al cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, apparsa su “Avvenire” di domenica 14 luglio e riproposta anche sui siti www.ilticino.it e www.diocesi.pavia.it. Vorrei invece allargare lo sguardo, per cogliere quanto sia vero ciò che ha affermato l’arcivescovo di Parigi, Michel Aupetit, in differenti aspetti della nostra attuale civiltà europea: «Una volta di più, ci troviamo a confrontarci con una scelta decisiva: la civiltà dello scarto o la civiltà dell’amore». In realtà, c’è una contraddizione palese, perché da una parte l’Europa è e resta un continente caratterizzato da una cultura dei diritti e della dignità del soggetto, dal rispetto della libertà personale, dallo sviluppo di uno stato sociale attento a ridistribuire la ricchezza e a offrire sussidi e aiuti alle fasce più deboli della popolazione, da una situazione di pace tra le nazioni, da un alto tenore di vita, con un diffuso benessere, da un vivace scambio culturale nel campo della ricerca e dell’università, da un’intensa e creativa operosità economica. Dall’altra parte, ci sono segni oscuri e gravi di una sorta di smarrimento e d’insicurezza esistenziale, di un ripiegamento su se stessa, con un crescente individualismo che tende a lasciare ai margini chi non risponde a certi canoni d’efficienza, con una crisi della famiglia, talvolta considerata un retaggio culturale del passato, con un crollo della natalità che sta pregiudicando il futuro, con la pratica ormai divenuta “normale” dell’aborto che sopprime migliaia di vite umane innocenti, con una chiusura che diventa spesso sorda indifferenza di fronte ai migranti, abbandonati al loro destino, che affogano nelle acque del Mare Nostrum senza fare nemmeno più notizia, con la diffusione di pratiche eutanasiche, che, in alcuni paesi europei, sono ormai prassi regolate dalla legge, opzioni possibili e in crescita.
Il ruolo centrale della fede cristiana
Occorre riconoscere che i tratti positivi della civiltà europea – che ovviamente sono molti di più di quelli indicati – sono frutto di una storia complessa e anche drammatica, nella quale hanno un ruolo diverse correnti di pensiero e di vita: la tradizione cristiana, che purtroppo in Europa si è divisa in distinte confessioni e chiese, la tradizione illuminista, quella liberale, quella socialista. L’Europa vive di una tensione e di una dialettica tra visioni dell’uomo e della società differenti, tuttavia appare centrale il ruolo della fede cristiana che ha plasmato il vissuto degli uomini e delle donne nel nostro continente, la letteratura, l’arte, il costume, in modo ancora più profondo nella nostra Italia. Centrale perché le altre correnti di pensiero sono comunque in relazione con l’eredità del cristianesimo, valori e concetti che fanno parte dell’anima europea, magari interpretati e declinati in forme dissimili (persona, libertà, fraternità, uguaglianza, giustizia sociale, cultura, diritti del soggetto …) sono tutti radicati nella concezione cristiana dell’uomo e dell’esistenza, e possono restare vivi nella coscienza e nel modo di giudicare e di affrontare le esperienze fondamentali dell’umano (il concepimento e la generazione, l’amore, il lavoro, il dolore, la morte) a una condizione: che permanga nel tessuto delle nostre nazioni la fede cristiana, incarnata e vissuta in comunità di persone credenti, che diventano come un cuore che pulsa vita e fa scorrere il sangue buono, ben ossigenato, per il bene di tutto l’organismo.
La vicenda di Vincent Lambert: una provocazione grande per noi cristiani
Allora fatti come la vicenda di Vincent Lambert, come altre sfide dei nostri giorni, sono una provocazione grande per noi cristiani, per vivere innanzitutto la fede come possibilità di un’esperienza pienamente umana, per dare il nostro contributo, di testimonianza e d’idee, nel confronto con altri soggetti, nella vita sociale e politica, nel dibattito culturale e giuridico, rendendo presente l’umanesimo originale e integrale che deriva dalla concezione cristiana della vita e che può essere condiviso e riconosciuto, nella sua bellezza e ragionevolezza, anche da chi non vive espressamente la fede in Cristo e l’appartenenza alla sua Chiesa. Come afferma il Cardinale Bassetti nella sua recente intervista ad “Avvenire”: «Ci è chiesto di andare oltre la pura testimonianza per saper dare ragione di quello che sosteniamo». L’11 luglio ricorreva anche la festa di San Benedetto abate, proclamato “patrono principale dell’intera Europa” da San Paolo VI cinquantacinque anni fa, il 24 ottobre 1964. Un uomo che «con la croce, con il libro e con l’aratro» (S. Paolo VI) seppe dare forma, attraverso l’opera dei suoi discepoli e dei suoi monaci, all’Europa cristiana, risorta sulle rovine dell’impero romano. Anche oggi, nei nostri tempi, nelle nostre terre, abbiamo bisogno di presenze che, come San Benedetto, possano realizzare forme di vita nelle quali sia evidente a tutti la “convenienza” umana della fede, la sua bellezza e la sua verità: «Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. (…) Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini. Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce, a ritornare e a fondare Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo» (J. Ratzinger, “L’Europa nella crisi delle culture”, Subiaco, 1° aprile 2005). Solo così prenderà vita non una disumana “civiltà dello scarto”, dove chi è debole e fragile è messo in un angolo, invogliato a farsi da parte o addirittura “correttamente” eliminato, ma la “civiltà dell’amore” che in fondo ogni cuore attende e desidera.
Mons. Corrado Sanguineti
(Vescovo di Pavia)